mercoledì 18 novembre 2009

Corpi, donne, nuove percezioni. A chi stiamo parlando?


L’attenzione attorno al tema del corpo, il corpo delle donne, è crescente. Dibattiti, convegni, libri, inchieste. Come se fosse la grande emergenza di questo momento: scoprire e imporne il rispetto, la riappropriazione, la dignità. Riportare a galla tematiche a cui si è dato fondo in un momento storico di vera scoperta e analisi, durante il quale, pur con gli errori di prospettiva e gli eccessi, sono stati posti alcuni punti di partenza ancora oggi incrollabili. Tutto questo potrebbe essere un tema importante, se non ci fosse quel retrogusto da pubblicità progresso che si esaurisce nella sintesi di uno spot pubblicitario. A fronte di una cultura generale sempre più misogina e quindi impoverita di quello che è l’elemento fondamentale del pluralismo e del gioco degli opposti, del confronto mentale e intellettuale privo di pregiudizi, mi chiedo a cosa serva fare campagne tutte giocate su messaggi e iniziative che non lasceranno nulla a chi non ha gli strumenti mentali e l’educazione per comprenderne il significato vero e profondo. A chi non è mai stato insegnato il rispetto per l’individuo, prima ancora che per la donna, in un Paese dove ogni giorno i soggetti che rivestono ruoli che dovrebbero essere di esempio morale non fanno altro che mostrare con orgoglio le regole della sopraffazione, dello svilimento, del più forte.
Chi ha bisogno di crescere, di imparare e di capire, non è in platea ad ascoltare. Non lo è mai. Allora, io mi chiedo a chi stiamo parlando. A chi queste cose le sa già? E per quale motivo? Per il gusto dell’esercizio di stile? L’inutilità di questioni poste male ed esaurite peggio, lascia solo una grande stanchezza mentale, e rischia di sfociare in una sorta di insofferenza per il metodo. Uguale, ripetitivo, inutile quando non addirittura dannoso. Sono convinta, ormai da tempo, che parlare di certi problemi – o presunti tali – serva solo a crearli. A generare le differenze, le polemiche, i rallentamenti. A spostare l’attenzione sul contorno mentre la sostanza si impoverisce fino a scomparire. Considerarsi parte di una “specie protetta” è il primo passo che si può compiere consapevolmente verso l’autoemarginazione, ponendo le basi di una insicurezza che sarà subito cavalcata e strumentalizzata.
“Creare una cultura positiva del corpo”: mi ronza nelle orecchie questa frase che ora viene troppo usata. Ma cosa significa? Si può fare lo sforzo di tradurre questo concetto sterile in atti concreti? Minimi, ma concreti. E allora da dove si inizia? Innanzi tutto smettendo di mortificarlo, questo corpo. Iniziando a considerare la valorizzazione dell’estetica come qualcosa di costruttivo e non demoniaco. Separandolo, una volta per tutte, dall’idea di peccato. Occorre iniziare a parlare in modo diretto, rivolgersi agli interlocutori che hanno bisogno di formarsi un’opinione, non a chi ce l’ha già e la coltiva: entrare nelle scuole, guardare in faccia gli adolescenti, creare spazi nelle carceri. E’ qui che si crea la distorsione, è a loro che occorre rivolgersi, prima di tutto, in un clima disteso e costruttivo. Assieme all’educazione civica dalle scuole è stato tolto anche l’insegnamento della civiltà, uno spazio che oggi potrebbe essere utilizzato per tamponare l’emergenza dell’ignoranza sessuale, relazionale e morale. Smettendola di far finta che la famiglia e la società abbiano il diritto di impartire per primi un’educazione che nemmeno loro stessi hanno ricevuto, condizionati da lacune che non sanno di avere.

Cosa leggere:
Corpi. Ventuno racconti e una ballata tra terra e cielo (Mondadori, 280 pagg. 9.50 euro). Il libro nella foto di apertura è un'antologia di racconti sul tema del corpo che raccoglie contributi di autrici italiane come Alessandra Appiano, Geppi Cucciari, Tiziana Ferrario, Chiara Gamberale, Maria Rita Parsi Nicoletta Sipos, Rosa Teruzzi, I proventi della vendita del libro saranno devoluti alla Fondazione Francesco Rava per la tutela dell'infanzia abbandonata.
Valentina Crepax, Gli uomini: istruzioni per l'uso (Calypso, 157 pagg., 16 euro). Gli uomini non sono tutti uguali, quindi ecco una ricca classificazione per categorie con tutti i tipi da scegliere per ogni occasione. Le illustrazioni sono di Guido Crepax.
Marina Valcarenghi, L'aggressività femminile (Bruno Mondadori, 174 pagg., 16 euro). Un testo irrinunciabile, che analizza la compressione dell'aggressività nella donna già da tempi lontanissimi, e ne ricostruisce le conseguenze sul piano comportamentale ed emotivo: autolesionismo, senso di colpa, abitudine al lamento, insicurezza, ansia e insofferenza.
Paolo Sorcinelli, Avventure del corpo (Bruno Mondadori, 198 pagg., 15 euro). Il corpo nelle culture e nelle pratiche dell'intimità quotidiana, fonte di piacere e oggetto di desiderio, entità materiale e organica tra letteratura libertina e precetto religioso. Una storia sotterranea che passa attraverso i gesti minimi.
Paola Borgna, Sociologia del corpo (Laterza,158 pagg., 10 euro) . I nuovi confini del corpo umano attraverso le realtà prodotte socialmente: tecnologie biomediche comunicazione mediatica, body building e anoressia. I corpi del femminismo, della medicina, del diritto, dell'etica e dell'arte.
Iaia Caputo, Le donne non invecchiano mai (Feltrinelli, 158 pagg., 14 euro). Fare i conti con il mito dell'eterna giovinezza, trasformato in esigenza da rincorrere e da replicare. Come invecchiano le donne nell'epoca della chirurgia estetica e delle creme miracolose. E soprattutto, esiste ancora il diritto di invecchiare?
Eve Ensler, I monologhi della vagina (Il Saggiatore, 218 pagg., 7.50 euro). Uno spettacolo teatrale del '98 diventato un classico, carrellata di interviste a donne di ogni età, estrazione sociale, razze e religione. Con il giusto humor.
Zaira Cattaneo e Tommaso Vecchi, Psicologia delle differenze sessuali (Carocci, 110 pagg, 10 euro). Esistono differenze tra gli individui legate al sesso? Un dibattito sulle diversità determinate dall'appartenenza sessuale, soprattutto dal punto di vista cognitivo ed emotivo.
Alain Touraine, Il mondo è delle donne (Il Saggiatore, 242 pagg., 20 euro). L'eredità del femminismo, il punto di vista su se stesse, le gabbie della globalizzazione culturale: lo studio sociologico di un gruppo di ricercatori francesi, su un campione estremamente vario, che arriva a individuare nelle donne il punto di partenza della rivoluzione culturale dominata dal "soggetto".

12 commenti:

  1. E se le donne provassero intanto a parlare a se stesse e fra loro stesse dei loro corpi? E se, al modo di S. Paolo, provassero a considerarli davvero tempio dello Spirito? Per poi divulgare correttamente l'idea presso lo stòlido universo maschile.
    E' una domanda, all'ombra di queste croci

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  2. Sul corpo degli uomini invece il nostro S.Paolo cosa dice? Cosa bisogna considerarli?

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  3. Certo che sì: ne ha parlato, e ne ha parlato tanto, essendo ricevuto nelle migliori e nelle peggiori maniere.
    Togliendo il riferimento paolino, che era ovviamente una piccolissima provocazione, volevo dire che tutta questa coscienza del proprio corpo non mi pare sia tanto diffusa tra le donne - oppure sì, ma in un senso che mi pare contrario a quello che auspichi

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  4. Il problema è esattamente questo, caro... E aggiungo purtroppo

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  5. Bene.
    Ieri sera stavo a una cena di club femminile, con la Silvana. L'oratore era uno psicologo di qualità discutibile, il pubblico era delle socie più qualche sparuto accompagnatore. Non ho mai visto tanti décolleté sbagliati in una volta sola. A chi fossero poi destinati, in una cena con 5 maschi su 30 femmine, non è chiaro; oppure sì, e in quel caso il tuo purtroppo è giustificato 2 volte almeno.
    Mi pare che questa gara alla seduzione, in cui l'accento cade piuttosto sulla gara che sulla seduzione, vada diffondendosi; senza che i maschi ne avvertano questa necesità

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  6. Paola, sai come la penso, la mitezza che ho nel parlarti di certi temi. Ti cito solo una frase detta da San Paolo, che ti spinga a leggere le Lettere ai Corinzi, dove potresti trovare il già conosciuto delle mie posizioni in materia. a proposito delle differenze tra uomo e donna, " Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo." Delicatezza ma già da questo puoi intuire molte cose.

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  7. Adesso è chiaro che non posso dare di meravigliosa alla dr.ssa. Non di meno, lo penso, e le aggiungo quest'altra perìcope: "Nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né senza la donna" (1Cor 11,11)

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  8. Chi ha un account Facebook può seguire su questa pagina il lungo e interessante dibattito scaturito da questo post:
    http://www.facebook.com/notes/paola-pioppi/corpi-donne-nuove-percezioni-a-chi-stiamo-parlando/175253992809

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  9. Paola, condivido in pieno la tua riflessione. Ancora oggi, nel XXI secolo, molte donne si sentono colpevoli se "osano" una minigonna o una scollatura, vivono in modo conflittuale la loro femminilità. Perchè hanno assimilato dalla cultura imperante l'idea che se una si "scopre" lo fa solamente per "catturare" un uomo. Invece occorre che le donne inizino a guardarsi e a piacersi per sè stesse. Non è facile ribaltare un modo di pensare che radici secolari, lo so. Questo solo uno spot del mio pensiero, ci sarebbero tante riflessioni da fare ma in questo momento non ne ho il tempo (accidenti!).

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  10. i media e l'educazione questo è il passo da fare..finché abbiamo questa rappresentazione dell'Italia succede che la filosofia dei cialtroni è fomentata...l'altra Italia non ha rappresentanza mediatica...si riversano in rete, su sky, sulla lettura ecc..guardate anche i programmi che vorrebbero essere seri..annozero, ballarò ecc..sono ingabbiati da una cultura giornalistica errata che non permette un dialogo algidamente logico tra un politico che sfugge le domande e un giornalista che lo rincalza..non sanno quello che fanno? lo sanno ma non vogliono disturbare il potere? entrambi..si chiama cultura italiana..siamo figli di un modo di vivere clientelare e familistico..la critica è qualcosa di troppo freddo che deleghiamo agli anglosassoni.

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  11. E' assolutamente così Max, e questo disegno centralizzato che si conferma ogni giorno, e sul quale vorrei tanto sbagliarmi, mi fa molta paura, ma è diventato un dei pochi stimoli alla resistenza anche nei momenti di maggiore svogliatezza.

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