lunedì 31 maggio 2010

Stefano Carnazzi, 100 domande sul cibo


Anche ai più attenti, c'è sempre qualcosa che è sfuggito. Che non sapevano. O che non avevano considerato dal quel punto di vista. La sorpresa che finisce dentro il piatto, capace di passare indenne la spesa fatta a raggi x, di camuffarsi nelle etichette passate millimetricamente in rassegna alla caccia dell'ingrediente infido, di dribblare la messa al bando delle produzioni ingiuste e dannose, dello sfruttamento degli animali. Quando si parla di cibo non si finisce mai di imparare, ma soprattutto non si è mai al sicuro. Tranne in un caso, forse: il cioccolato. L'alimento più pulito, meno alterabile, più basico e sano che la nostra catena produttiva sia in grado di proporci. A volte anche etico, se proveniente dal mercato equo solidale. Stefano Carnazzi ne sa qualcosa. Da anni si occupa di cibo, con il metodo di indagine del giornalista e la capacità di andare a fondo dell'appassionato. L'ultimo suo libro, 100 domande sul cibo. Manuale di sopravvivenza tra il supermercato e la tavola (Edizioni Ambiente, 181 pagg., 12 euro) è un breviario, un manuale in cui immergersi, lasciandosi sorprendere ma anche fortificandosi. Lo scudo con cui fare slalom tra le corsie del supermercato. Giusto per sapere quante merendine è il caso di mangiare ogni giorno, quanto sono pregiati i gamberetti, con cosa è composto l'innocuo dado da brodo, quali coloranti sono fatti con gli insetti e quanto pesa davvero una bistecca. E altre 95 curiosità vaganti nel mondo del cibo.

Perché queste cento domande e non altre?
Sono le curiosità che hanno sollevato più attenzione negli ultimi anni. Questo libro è la prosecuzione del mio precedente, Quattro sberle in padella, partito da una analisi contro la produzione industriale dedicata soprattutto all’alimentazione dei bambini. Dieci anni fa era basata sugli zuccheri e sui coloranti artificiali: i primi generano picchi glicemici, gli altri sono la causa di allergie ed altri effetti collaterali. Il risultato era un valore nutritivo pari a zero, ma molti potenziali danni. Inoltre erano prodotti che al supermercato stavano vicini alle casse, e questo mi infastidiva molto. In questi dieci anni l’industria alimentare ha studiato molte alternative apprezzabili, senza ricorrere alla chimica. Nonostante questo trovo che la produzione alimentare, dal punto di vista qualitativo, sia ancora molto indietro: vedo molte operazioni di cosmesi, ma il risultato non migliora, e non riesco ad essere ottimista. I segnali sono negativi: aumentano i pesticidi, non diminuiscono gli ogm.

Perché la televisione fa ingrassare?
Innanzi tutto per un motivo fisico, sul quale sono stati fatti interessanti studi: è uno stato di ricezione passiva che spegne il cervello. Guardando la tv si consumano quasi le stesse calorie che durante il sonno, quindi quasi zero. Inoltre ci si trova davanti a una concentrazione di spot che promuovono prodotti alimentari non sani, soprattutto negli orari di massimo ascolto, il cui risultato è l’invito a consumare un cibo squilibrato. Negli alimenti protagonisti delle pubblicità televisive, c’è una media del 40 per cento di zuccheri, olio e grassi. Non si sono mai viste pubblicità di frutta e verdura bio.

Tu dove fai la spesa?
Al supermercato, ma scegliendo catene della grande distribuzione che hanno dimostrato attenzione verso il biologico e l’equosolidale, come la Coop e L'Esselunga. Sono anche grossi marchi, non solo negozi di nicchia. Alcuni hanno investito molto in questo senso, dimostrando rispetto per le esigenze dei consumatori. In dieci anni è cambiato molto, e oggi poter esibire una produzione pulita è motivo di orgoglio.

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