Le annate fanno bella mostra di sé in ordine rigoroso. Disposte sugli scaffali di legno scuro, ben incerato, con l'etichetta dell'anno incisa su vecchie targhette di peltro.
Buone e meno buone. Un centinaio di pezzi per ogni anno. Avrei potuto inserirne anche qualcuno in più, ma ho preferito selezionare. D'altra parte l'offerta è alta e chi arriva fin qui, deve imparare a fidarsi di me. A volte basta un'occhiata, altre invece, devo porre domande.
Succede anche di perderci del tempo. Ma è il mio lavoro, non lo scambierei con nessun altro. Spolvero quasi ogni giorno. Tengo tra le mani e rigiro con delicatezza. Lascio nascosti i pezzi più rari. Da quelli non sposto nemmeno la polvere, perché mi pare li protegga e li avvolga. E ne preservi il mistero. Il cliente esigente apprezza se passo il panno morbido davanti ai suoi occhi, mentre con lentezza gli racconto contenuto e contesto.
Non miro a convincere ma a proporre. Capita spesso che qualcuno entri di fretta e mi chieda una cosa a caso, gridi un nome, senza sapere davvero quale sia la sua recondita necessità. Non mi scompongo. Lo guardo e lo invito a cercare da sé, certa che non troverà nulla. Non sa l'annata, non conosce lo scaffale. Mi armo di pazienza, lo osservo da tergo e so che il mio bersaglio è il suo temperamento. Sono allenata a osservare. A lungo e a fondo.
Se è meditabondo e silenzioso vado diretta al 1960. Ci vuole qualcosa di rivoluzionario e corposo, con profumo e consistenza. Se è triste va bene un pezzo del 2000, frizzante, trasparente, con perlage. Che riempia i sensi e lasci poche tracce. Se prevale una personalità spenta sto attenta anche ai colori. Scelgo qualcosa degli Anni Ottanta, di acceso, intenso e avventuroso. Cerco di capire se ho di fronte un tipo allenato, mettendo alla prova le sue papille gustative.
Le mie conserve sott'olio, sul pane ai cereali, sono l'ausilio necessario. Perfette per sublimare il concetto di corpo e colore. Chiedo di assaggiare con la punta della lingua, più sensibile al salato. E poi decido. Ancora ci sono quelli che varcata la soglia, dopo un istante di stupore e meraviglia di fronte all'antro in penombra, afferrano una cosa a caso. Magari sono impegnata con un altro cliente. Non mi accorgo che già sono davanti alla casa e aspettano solo di pagare. Spero, nel mio cuore, che abbiano scelto qualcosa di ordinario.
A costoro infatti, mi dispiace consegnare un frammento di esclusivo. L'ultima giacenza, la riserva nell'angolo, quella che vorrei fosse fatta vivere, capita e ricordata dall'intenditore. "Mi dispiace" dico "è già venduto". Riconosco lo sguardo attonito e rapace. Provano con qualcosa d'altro, cercando nei pertugi l'annata lontana, segnalata sulla pagina di un quotidiano magari, senza conoscerne la genesi e le trasformazioni. Non tutto matura come dovrebbe, spesso invecchia soltanto. Cerco di spiegare che con il tempo raramente si affina e si arricchisce il contenuto di una realtà diversa. Poi, d'un tratto, tra l'aggressività riottosa e l'ignoranza si palesa il cercatore, il sapiente.
Allora è una danza, io che racconto e lui che va al passo e mi precede, talvolta. Un'appartenenza di amorosi sensi, un canto polifonico di suoni, odori, effervescenze. Mi sento appagata nel cedere il "più prezioso", che sono certa, non ritroverò per molto tempo e forse mai. Faccio appena in tempo a ritrovare il respiro che arriva il procacciatore di novello. L'ultimo nato, sul primo scaffale, appena consegnato, moderno, si direbbe. Cerco di spostare la scelta verso qualcosa che resti nel ricordo. Che tracci una strada, per arrivare lì, al novello. Ma lui lo vuole a tutti i costi del giorno.
Che ancora non si è fatto del tutto. Veloce, così come è stato creato. Poco riflessivo. Lo dico sempre, quando guardo i miei libri sugli scaffali, ordinati per annate, rigorosamente in fila. Un buon volume è come un vino buono. Devi conoscere il prima e il dopo, per gustarlo e capirlo e assorbirne gli umori. E non rimanere uguale a come sei, quando è già dentro di te.
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gusto robusto...
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