domenica 14 giugno 2009

Marina Valcarenghi: dall'aggressività femminile all'insicurezza globale


"Sembra essere successo qualcosa in tempi molto lontani che ha indotto la compressione dell'aggressività non di una ma di tutte le donne, qualcosa che potrebbe essere una mutazione istintiva legata a uno stato di necessità, forse a esigenze conservative della specie. I sintomi di questa artificiale repressione si esprimono in comportamenti deficitari o eccessivi come: autolesionismo, abitudine al lamento, senso di colpa, dipendenza, insicurezza o ansia di controllo, prepotenza e atteggiamenti insofferenti e collerici". La sintesi è tratta dalla quarta di copertina, e io non saprei fare di meglio per introdurre e andare nel vivo di questo testo che per me si è rivelato fondamentale e illuminante. L'aggressività femminile, della psicoanalista milanese Marina Valcarenghi (Bruno Mondadori, 177 pagg., 10 euro) è una lettura sintetica, chiara e rivelatrice di una serie di meccanismi che regolano le nostre dinamiche mentali e comportamentali, in una visione che non si ferma al risultato attuale, ma ne ricerca le origini e il radicamento culturale. La stessa impostazione di un altro suo saggio, L'insicurezza. La paura di vivere nel nostro tempo (Bruno Mondadori, pagg. 181, 17 euro), che scavalca la sola dimensione femminile e analizza le radici di condizionamenti globali, che ci arrivano sotto forma di pillole del vivere quotidiano.

Ancora oggi l’aggressività femminile è uno dei grandi temi da capire, da affrontare e da risolvere, sia a livello personale che collettivo. Qual è, a suo parere, la consapevolezza raggiunta da questo punto di vista dalle donne e quali sono invece le grandi lacune che sopravvivono?
"Non si può generalizzare, ma mi sembra che si stiano facendo dei significativi passi avanti: stiamo imparando a difendere il nostro territorio fisico, psichico, sociale, morale e intellettuale con pacatezza e determinazione. Certo ancora molte di noi non distinguono l'aggressività dalla prepotenza, dall'arroganza e dalla violenza e la considerano una prerogativa maschile. Tuttavia molto più che nel passato anche recente - e sono solo alcuni esempi - le donne parlano in pubblico per esprimere le loro opinioni, abbandonando i toni striduli che denunciavano le loro paure e la loro agitazione, difendono le loro scelte e rivendicano i loro diritti nella relazione d'amore, nella famiglia, nel lavoro e nell'insieme del contesto sociale. Non sempre non dovunque il processo evolutivo è riconoscibile, ma esiste tuttavia e apre alla speranza. Esistono certo ancora donne che si lasciano regolarmente picchiare dal marito o dal fidanzato e restano con lui "Mi ha chiesto scusa", "Ho paura di rimanere sola", "E' fatto così ma mi vuole bene", "So che dovrei mollarlo ma non ce la faccio e non so nemmeno io perché", sono le spiegazioni più frequenti che danno in analisi. Esistono ancora donne che non si esprimono perchè "ho paura di non essere capita", "mi vergogno", "sono timida", "mi sento disapprovata", oppure che si esprimono con animosità reattiva in modo agitato e inconcludente creandosi l'aureola (meritata) della piantagrane polemica e rancorosa. Insomma è una lenta strada in salita quella che stiamo percorrendo se si pensa che fino a un pugno di generazioni fa e per millenni - nella stragrande maggioranza dei casi - aveva corso dovunque il raccapricciante invito veneto alle donne "che la piasa, che la tasa e che la staga in casa". Molto dipende dall'educazione, a questo punto: se le madri e le insegnanti sapranno farsi carico di un'educazione diversa che autorizzi non solo a studiare e a lavorare, ma a essere autonome, a riconoscere il diritto ad esistere in prima persona e quindi anche a vedere la bellezza e la dignità dell'autodifesa, allora lo sviluppo dell'aggressività femminile subirà una forte accelerazione".

Aggressività e insicurezza, due condizioni interdipendenti, come viene evidenziato con chiarezza nei suoi due saggi. Nel mondo professionale femminile, una delle due riesce ad avere la meglio sull’altra, e in che modo?
"Il mondo professionale non è un monolite e le donne non sono tutte uguali, né hanno lo stesso grado di consapevolezza della propria storia e dei problemi psicologici collettivi che ne derivano. Ogni anno tengo delle lezioni all'Università Bocconi per donne dirigenti d'azienda e constato comportamenti molto diversi, anche in una fascia dunque omogenea e culturalmente e socialmente privilegiata, come è normale in un'epoca di transizione. E le stesse differenze posso osservare nel mio studio con le mie pazienti. Certo l'insicurezza mi sembra la peggior nemica dell'aggressività, un freno, una sordina che si impone alla propria capacità autodifensiva. Le differenze possono essere anche molto vistose, da persona a persona. Una giovane dirigente si è lasciata salutare con una pacca sul sedere da un cliente della sua azienda senza reagire in alcun modo, un'altra si è lasciata dire da un collega "Adesso che ti sposi finalmente ti darai una calmata" senza alcuna reazione aggressiva, altre - della stessa età e magari nella stessa azienda - hanno saputo reagire a un attacco misogino con frasi come "Non si permetta mai più questo comportamento nei miei confronti" o "Chi l'autorizza a rivolgersi a me con queste parole?", superando la paura delle conseguenze, che non ci sono del resto mai se si rimane pacate e calme. Anche la competizione fra donne in certi casi viene riconosciuta e affrontata, in altri viene subdolamente nascosta ed è all'origine di penosi conflitti".

Nell’incapacità di risolvere o gestire adeguatamente aggressività o insicurezza, in cosa vede maggiori pericoli o limitazioni per se stessi?
"Nelle donne di oggi c'è una grande sofferenza nel farsi giocare dall'insicurezza e nel rinunciare di conseguenza a difendersi, semplicemente perché oggi l'aggressività è possibile. Nel passato l'aggressività femminile era negata e repressa fin dalla prima infanzia, al punto che Freud poté convincersi che le donne fossero per natura ipoaggressive; la loro sofferenza era del tutto inconscia e si manifestava spesso in sintomi isterici e depressivi. La loro difesa, tuttavia, nel modello sociale era garantita dai maschi della famiglia: il padre o i fratelli, poi il marito e alla fine i figli erano i custodi della loro onorabilità e dei loro interessi. La situazione è oggi completamente diversa e per fortuna nessuno ci difende più, dobbiamo farlo noi stesse, in prima persona e c'è una nuova dignità e un orgoglio particolare nel riuscire a farlo e un insidioso senso di colpa e una penosa frustrazione nel non esserne capace. Il pericolo è quello di essere esposte, senza più la protezione familiare maschile, in un contesto sociale dove siamo ormai tutte e sempre di più chiamate a esprimerci e a operare".

In ottobre uscirà un nuovo saggio per Bruno Mondadori, intanto la sua bibliografia è qui.

sabato 13 giugno 2009

Le stanze dell'arte



Como, 12 giugno 2009, caserma militare De Cristoforis, inaugurazione della mostra Le stanze dell'arte. Diciassette pittori, scultori e fotografi del Gruppo Artistico Quartodecimo di Como, espongono trecento opere all'interno delle ex camerate.
I loro nomi: Daniele Alessi, Fabrizio Bellanca, Marco Besana, Alberto Bogani, Nicoletta Brenna, Vito Cimarosti, Enrica Frigerio, Matteo Galvano, Stefano Maesani, Angelo Minardi, Simona Muzzeddu, Carmelo Roberto Parisi, Alessandra Ronchetti, Bruno Saba, Aldo Scorza, Jo Taiana, Stefano Venturini.
Con la partecipazione di R. P. Zentara, artista austriaco che espone installazioni luminose, e del gruppo comasco OLO creative farm (Mattia Amadori, Andrea Corti e Max de Ponti) che, assieme a Omar Dodaro, presenta un video in cui protagonista è il tempo, racchiuso in una cabina rossa.

In sottofondo: Dreamscape, 009 Sound System.

martedì 9 giugno 2009

Poesia dorsale

"Mettere dei libri uno sopra l'altro in modo che i titoli si concatenino fino a formare dei versi. Questo è fare poesia dorsale. Si chiama così perché nasce dai dorsi dei libri, non dai titoli". Il progetto, abbondantemente spiegato qui con tutte le istruzioni per l'uso,  è stato concepito dal graphic designer e fotografo Silvano Belloni, dalla giornalista Antonella Ottolina e dalla photo editor Chiara Corio. Le indicazioni sono molto semplici: basta guardarsi attorno, lasciare scorrere lo sguardo sugli scaffali della propria libreria, e comporre un verso (o anche un racconto) assemblando i titoli in una sequenza logica, poetica, divertente... Si può anche farsi prestare i libri o scambiarli, ma l'importante alla fine è scattare una foto per conservare e mostrare il risultato.
Qui ci sono le mie, aspetto le vostre.  

Dietro il tuo silenzio
Pessimi segnali
L'inferno peggiore
La bestia nel cuore
Memoria del vuoto
Continua a parlare
Mi fido di te

L'imperfezione dell'amore
Una stagione all'inferno
Cuore di ferro
Non rimanere soli
Io ti perdono
Demonio

Le cose che non ti ho detto
La prima notte
C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo
Fragile
Sovvertimento dei sensi
Parti in fretta e non tornare

Femmina de luxe
Nel cuore che ti cerca
Esercizi d'amore
Una felicità paradossale
Perché tu mi hai sorriso

Diario di un'adultera
Invidia
La verità nascosta
L'ultima estate di innocenza
La colpa
Il danno
I giorni dell'espiazione

domenica 7 giugno 2009

L'imperdibile Auroralia con Cenciarelli e Pioppi

Jerry Uelsmann, Untitled, 1987

Il progetto, ideato da Gaja Cenciarelli, partiva da questa fotografia di Jerry Uelsmann, e testualmente recitava: "Sarebbe un onore immenso per me se voleste scrivere un racconto, una storia, qualsiasi cosa vi ispiri questa immagine... Fatelo per l'amore che provo per voi...". Come rifiutare? Tantopiù che questa immagine di sospensione eterna subito mi ha ispirato quello che potete leggere qui sotto. Il progetto si è tradotto in una pubblicazione permanente dei 50 testi sul sito di Gaja, Sinestetica.net, e in un reading organizzato a Roma il 26 giugno.
Seguendo questo link, potete leggere il post originale, dove il mio racconto (privilegiata dalla sorte alfabetica tra 50 aspiranti...) è abbinato a quello di Gaja, dal titolo "Quante volte".

NON SPERAVA
Non sperava che si potesse stare anche così. In una sospensione priva di emozioni, di pensieri, di passato e di angoscia. Con la testa leggera, il corpo piacevolmente indifferente. Non aveva immaginato che decine di chilometri sarebbero bastati ad assottigliare fino a quel punto i fili tra lei e tutto ciò di cui aveva riempito le sue giornate, con cui aveva mascherato la sua assenza di progetti, la sua impossibilità di azione, la claustrofobia prodotta da persone troppo presenti. Voleva solo smettere di sentire il rumore delle voci conosciute, del telefono di casa, delle solite storie ripetute fino allo sfinimento, e sostituirlo con il calore del sole pesante, fitto, annientante. Ore stesa immobile, parallela al suolo, priva di bisogni. Un libro e una bottiglia d’acqua. Nessuno con cui parlare, il telefono spento, una fuga appagante. Musica in autostrada per coprire la visione di un asfalto immutabile, e poi la percezione della lontananza alle spalle. Non sperava che si potesse raggiungere quello stato, e non lo aveva cercato. Era stata una fulminazione, alla fine della giornata. Uno di quei momenti che, da lì in avanti, segnano un prima e un dopo. Quell’attimo in cui aveva alzato lo sguardo dal libro all’ora dell’aperitivo, e finalmente non aveva sentito nulla attorno a sé. La pelle e la testa cotte dal sole, un vino bianco pieno di profumi, una piazza dai muri antichi. La percezione palpabile della distanza, del distacco, della sospensione. Un attimo di nulla assoluto. Desiderato da sempre a mai ottenuto. Finalmente era lì quel foglio bianco, lo spazio della sua vita tante volte trasformato in una metafora: troppo pieno e confusionario, invadente, soffocante. Popolato. Quel foglio su cui immaginava di scagliarsi con un colpo di mano, di far tornare bianco e sgombro per godersi quell’assenza di tutto che la faceva rilassare. Finalmente era lì, in un attimo ovattato, sospeso. Un piacere che la circondava, un abbraccio dedicato solo a lei. Un cambio di rotta ormai inevitabile.

sabato 6 giugno 2009

Gehard Demetz: Love at first touch



Como, 5 giugno 2009, sintesi in video dell'inaugurazione della personale Love at first touch di Gehard Demetz all'ex chiesa di San Francesco. Un percorso tra 30 opere in legno di tiglio, sculture di grandi e piccole dimensioni che rappresentano bambini dai volti imbronciati, realizzate assemblando piccoli tasselli dagli incastri millimetrici. Lo scultore altoatesino scolpisce forme e volti di bambini e adolescenti, dai corpi esili e incerti, con l'espressione scura di chi ha appena subito un rifiuto. Nei lavori più recenti, lo sguardo diventa ancora più drammatico, ma al legno si affianca un nuovo materiale, il bronzo, ultimissima fase di cui sono esposti tre lavori. Tutta l'opera di Demetz - dalla tecnica, all’odore del legno, alla particolare bellezza delle forme morbide, levigate, minuziosamente lavorate con lo scalpello sul fronte, ma frammentate e incompiute sul retro - si rivela anche ai non vedenti grazie a speciali percorsi sensoriali. Una possibilità riservata a tutti i visitatori, che possono affrontare la stessa esperienza indossando speciali cappucci scuri che privano della vista.

Tutte le info per visitare la mostra sono qui.

In sottofondo: After Hours, Twilight Archive, Ritual Fiction

mercoledì 3 giugno 2009

Francisco Gonzáles Ledesma, Storia di un Dio da marciapiede


Méndez esce dalla Spagna, e non era mai accaduto. In Storia di un Dio da marciapiede, ultimo romanzo pubblicato in Italia da Giano (353 pagg., 17.50 euro) Francisco Gonzáles Ledesma porta il suo investigatore fino in Egitto, per proteggere una bambina down che si trova in pericolo. Si allontana così dalla sua Barcellona, quella città che da sempre - in una simbiosi tra autore e protagonista dei romanzi - porta attaccata alla pelle, che non ha mai abbandonato nemmeno per poche ore, in cui ha vissuto accanto alla sofferenza dei poveri, dei perseguitati e dei morti del franchismo. Una Barcellona dura e marginale di cui non si può avere nostalgia, se non per quella dignità che ha sempre mantenuto alta la speranza di un miglioramento, per l'affetto che Ledesma non riesce a nascondere. A ottant'anni, in perfetta forma, gira l'Europa per parlare del suo Méndez, come se raccontasse di se stesso. L'ultima tappa è stata a Lugano, a Tutti i colori del giallo

Qual è la principale differenza tra Francisco Gonzáles Ledesma e Mèndez?
"Méndez è forse la persona che mangia peggio a Barcellona. Ci sono poche persone che riescono a fare peggio di lui senza andare incontro a conseguenze serie. Anni fa a La Vanguardia, il quotidiano dove lavoravo, mi hanno nominato critico gastronomico. Ho sempre saputo cucinare con poco, i piatti poveri della tradizione regionale. Ho anche sempre saputo come un ristorante poteva riuscire a far da mangiare con poca spesa. Così, dopo anni di girovagare per recensire grandi e piccoli locali della Spagna, mi sono reso conto  che il critico è una professione ad alto rischio di malattia professionale: mi sono ritrovato con pressione alta e diabete, grazie alla cucina di cui mi ero cibato negli ultimi mesi. Se vi propongono di fare il critico gastronomico, rifiutate subito!".

Perché per questo primo sconfinamento di Méndez ha scelto l'Egitto?
"Tempo fa avevo fatto un reportage al Cairo, e mi ero trovato in una città coperta di spazzatura, sporca. Avevo assistito ai matrimoni celebrati nei cimiteri: Mèndez fa i conti con queste cose. Era una situazione che andava bene per lui, uno che ha sempre affermato che l'aria buona fa male ai polmoni. Quando parte crede di andare in un luogo sano, e nonostante ciò decide di mettere a rischio la sua vita, ma poi si trova a suo agio. Ora le cose sono cambiate, ma tutto ciò che racconto è esistito". 

Quanto di vero e quanto di inventato c'è in Storia di un Dio da marciapiede?
"C'è un episodio importante e realmente accaduto durante la Guerra Civile, e riguarda la bimba avuta da due spie fasciste, che stavano per essere fucilate ma poi si salvano. La notte prima dell'esecuzione, una giovane comunista sente pietà per loro e si offre ad entrambi, che non avevano mai conosciuto nessuna donna, perché dice che la pietà si sente con la pancia. Lei per questo gesto viene incarcerata e sottoposta a sevizie, la bambina nasce down e lei poi vene fucilata. I due uomini vengono a sapere di questa figlia, senza poter stabilire chi dei due è il padre, e decidono di occuparsene insieme. E' un episodio molto crudo, ma vero. Poi nel libro c'è l'umanità di poliziotti corrotti, killer che sanno essere anche buoni, un nucleo forte di gente che sa contrastare la meschinità, come in tutti i miei romanzi".

Oltre a Storia di un Dio da marciapiede, Francisco Gonzáles Ledesma in Italia ha pubblicato Mistero di strada (Giano) e Soldados (Meridiano Zero).

martedì 2 giugno 2009

Donne e libri, una piccola bibliografia


Ecco qui tre nuovi titoli arrivati da poco nella mia biblioteca, che parlano ancora di questione femminile. Il primo, di Alice Ceresa, Piccolo dizionario dell'inuguaglianza femminile, è uscito nel febbraio 2007, ma io l'ho trovato alla Fiera del Libro nello stand di Nottetempo (127 pagg. 12 euro). Il contenuto, prodotto di una estrema sintesi dei concetti, rispetta quanto promesso dal titolo: si tratta infatti di un dizionario che elenca una serie di voci, da "anima" a "vita", rivelando le insidie che ognuna di queste parole rivela nei confronti della donna. Letterario, per esempio: "Curiosamente le opere letterarie, benché da lontanissimi tempi preponderantemente stese da penne o macchine da scrivere maschili, abbondano di personaggi letterari femminili che parlano, pensano e agiscono pertanto per bocche e menti maschili". Vero. Altra verità alla voce Legge, intesa in senso giuridico e non verbale: "Nella nostra società la donna non emana leggi... Chi emana leggi è pur sempre umano, per cui difficilmente si può pretendere che emani leggi a proprio svantaggio...". Infine Bellezza: "A prima vista sembrerebbe che sia per così dire indispensabile alle donne, mentre gli uomini non soltanto possano farne a meno, ma addirittura di ciò si compiacciano. Sono tuttavia impressioni superficiali, derivate dal falso concetto che la bellezza sia un attributo. In realtà è una merce e ubbidisce alle correnti leggi di mercato".

Un attacco morbido ma efficace agli stereotipi femminili arriva da Nicla Vassallo, docente di Filosofia Teoretica, che in Donna m'apparve (Codice edizioni, 163 pagg., 18 euro) raccoglie i contributi e le riflessioni di altre otto filosofe e giuriste che ragionano sulle presunte attitudini delle donne, quelle su cui sono stati costruiti stereotipi evoluti poi in situazioni oggettive, che sulla distanza hanno marcato una diversità e addirittura una penalizzazione. Così, la domanda fondamentale da porsi, e alla quale cercare di rispondere, diventa una sola: è possibile oggi definire un concetto di femminilità? Per cercare di rispondere, occorre prima di tutto sgombrare il campo da ipocrisie e luoghi comuni, per calare la donna su un piano di realtà: quello dell'io (Essere diverse e Essere madri), dell'io e l'altro (L'empatia, Il bene e La parola) e quello dell'io e il mondo esterno (Oggettività e Scienza).

Alain Touraine tenta invece un'analisi sociologica per collocare l'evoluzione odierna del femminismo all'interno della globalizzazione, ovvero di una omologazione di ruoli e concetti deprivati di una vera riflessione. Il mondo delle donne (Il Saggiatore, 242 pagg, 20 euro) raccoglie i risultati di una ricerca portata avanti all'interno di un gruppo di donne di diversa estrazione sociale e religione. Il risultato sostiene che l'identità femminile e la costruzione del sé, passano fortemente attraverso la specificità sessuale. Perché, confinata in uno spazio a margine, la donna ha creato modelli di conciliazione degli opposti, tali da poter ceare spazi propri all'interno dello scontro tra poteri sociali e rincorsa dei diritti. I risultati sono le ascese professionali che non escludono l'adozione del velo, o il credo religioso che non impedisce di aderire a costumi laici, all'interno di ambivalenze solo apparenti.