"Sembra essere successo qualcosa in tempi molto lontani che ha indotto la compressione dell'aggressività non di una ma di tutte le donne, qualcosa che potrebbe essere una mutazione istintiva legata a uno stato di necessità, forse a esigenze conservative della specie. I sintomi di questa artificiale repressione si esprimono in comportamenti deficitari o eccessivi come: autolesionismo, abitudine al lamento, senso di colpa, dipendenza, insicurezza o ansia di controllo, prepotenza e atteggiamenti insofferenti e collerici". La sintesi è tratta dalla quarta di copertina, e io non saprei fare di meglio per introdurre e andare nel vivo di questo testo che per me si è rivelato fondamentale e illuminante. L'aggressività femminile, della psicoanalista milanese Marina Valcarenghi (Bruno Mondadori, 177 pagg., 10 euro) è una lettura sintetica, chiara e rivelatrice di una serie di meccanismi che regolano le nostre dinamiche mentali e comportamentali, in una visione che non si ferma al risultato attuale, ma ne ricerca le origini e il radicamento culturale. La stessa impostazione di un altro suo saggio, L'insicurezza. La paura di vivere nel nostro tempo (Bruno Mondadori, pagg. 181, 17 euro), che scavalca la sola dimensione femminile e analizza le radici di condizionamenti globali, che ci arrivano sotto forma di pillole del vivere quotidiano.
Ancora oggi l’aggressività femminile è uno dei grandi temi da capire, da affrontare e da risolvere, sia a livello personale che collettivo. Qual è, a suo parere, la consapevolezza raggiunta da questo punto di vista dalle donne e quali sono invece le grandi lacune che sopravvivono?
"Non si può generalizzare, ma mi sembra che si stiano facendo dei significativi passi avanti: stiamo imparando a difendere il nostro territorio fisico, psichico, sociale, morale e intellettuale con pacatezza e determinazione. Certo ancora molte di noi non distinguono l'aggressività dalla prepotenza, dall'arroganza e dalla violenza e la considerano una prerogativa maschile. Tuttavia molto più che nel passato anche recente - e sono solo alcuni esempi - le donne parlano in pubblico per esprimere le loro opinioni, abbandonando i toni striduli che denunciavano le loro paure e la loro agitazione, difendono le loro scelte e rivendicano i loro diritti nella relazione d'amore, nella famiglia, nel lavoro e nell'insieme del contesto sociale. Non sempre non dovunque il processo evolutivo è riconoscibile, ma esiste tuttavia e apre alla speranza. Esistono certo ancora donne che si lasciano regolarmente picchiare dal marito o dal fidanzato e restano con lui "Mi ha chiesto scusa", "Ho paura di rimanere sola", "E' fatto così ma mi vuole bene", "So che dovrei mollarlo ma non ce la faccio e non so nemmeno io perché", sono le spiegazioni più frequenti che danno in analisi. Esistono ancora donne che non si esprimono perchè "ho paura di non essere capita", "mi vergogno", "sono timida", "mi sento disapprovata", oppure che si esprimono con animosità reattiva in modo agitato e inconcludente creandosi l'aureola (meritata) della piantagrane polemica e rancorosa. Insomma è una lenta strada in salita quella che stiamo percorrendo se si pensa che fino a un pugno di generazioni fa e per millenni - nella stragrande maggioranza dei casi - aveva corso dovunque il raccapricciante invito veneto alle donne "che la piasa, che la tasa e che la staga in casa". Molto dipende dall'educazione, a questo punto: se le madri e le insegnanti sapranno farsi carico di un'educazione diversa che autorizzi non solo a studiare e a lavorare, ma a essere autonome, a riconoscere il diritto ad esistere in prima persona e quindi anche a vedere la bellezza e la dignità dell'autodifesa, allora lo sviluppo dell'aggressività femminile subirà una forte accelerazione".
Aggressività e insicurezza, due condizioni interdipendenti, come viene evidenziato con chiarezza nei suoi due saggi. Nel mondo professionale femminile, una delle due riesce ad avere la meglio sull’altra, e in che modo?
"Il mondo professionale non è un monolite e le donne non sono tutte uguali, né hanno lo stesso grado di consapevolezza della propria storia e dei problemi psicologici collettivi che ne derivano. Ogni anno tengo delle lezioni all'Università Bocconi per donne dirigenti d'azienda e constato comportamenti molto diversi, anche in una fascia dunque omogenea e culturalmente e socialmente privilegiata, come è normale in un'epoca di transizione. E le stesse differenze posso osservare nel mio studio con le mie pazienti. Certo l'insicurezza mi sembra la peggior nemica dell'aggressività, un freno, una sordina che si impone alla propria capacità autodifensiva. Le differenze possono essere anche molto vistose, da persona a persona. Una giovane dirigente si è lasciata salutare con una pacca sul sedere da un cliente della sua azienda senza reagire in alcun modo, un'altra si è lasciata dire da un collega "Adesso che ti sposi finalmente ti darai una calmata" senza alcuna reazione aggressiva, altre - della stessa età e magari nella stessa azienda - hanno saputo reagire a un attacco misogino con frasi come "Non si permetta mai più questo comportamento nei miei confronti" o "Chi l'autorizza a rivolgersi a me con queste parole?", superando la paura delle conseguenze, che non ci sono del resto mai se si rimane pacate e calme. Anche la competizione fra donne in certi casi viene riconosciuta e affrontata, in altri viene subdolamente nascosta ed è all'origine di penosi conflitti".
Nell’incapacità di risolvere o gestire adeguatamente aggressività o insicurezza, in cosa vede maggiori pericoli o limitazioni per se stessi?
"Nelle donne di oggi c'è una grande sofferenza nel farsi giocare dall'insicurezza e nel rinunciare di conseguenza a difendersi, semplicemente perché oggi l'aggressività è possibile. Nel passato l'aggressività femminile era negata e repressa fin dalla prima infanzia, al punto che Freud poté convincersi che le donne fossero per natura ipoaggressive; la loro sofferenza era del tutto inconscia e si manifestava spesso in sintomi isterici e depressivi. La loro difesa, tuttavia, nel modello sociale era garantita dai maschi della famiglia: il padre o i fratelli, poi il marito e alla fine i figli erano i custodi della loro onorabilità e dei loro interessi. La situazione è oggi completamente diversa e per fortuna nessuno ci difende più, dobbiamo farlo noi stesse, in prima persona e c'è una nuova dignità e un orgoglio particolare nel riuscire a farlo e un insidioso senso di colpa e una penosa frustrazione nel non esserne capace. Il pericolo è quello di essere esposte, senza più la protezione familiare maschile, in un contesto sociale dove siamo ormai tutte e sempre di più chiamate a esprimerci e a operare".
In ottobre uscirà un nuovo saggio per Bruno Mondadori, intanto la sua bibliografia è qui.