lunedì 1 febbraio 2010

Inachis Io, Dire Fare l'Amore


Il sottotitolo è Racconti post-erotici, ma in questi quindici racconti di Dire Fare L'Amore (10 euro, 158 pagg., Progetto ilmiolibro.it) ho trovato anche e soprattutto desideri, delusioni e incomprensioni sentimentali. L'erotismo spesso è conseguenza di situazioni tratteggiate, solo saltuariamente evocato in modo esplicito, e sempre senza sbandamenti. Al centro di questo raccontare di Inachis Io - pseudonimo dietro al quale si nasconde un assiduo blogger, arrivato alla pubblicazione di questo primo libro attraverso un progetto su internet - ci sono gli schemi comportamentali di fondo di chi si misura con i sentimenti, di chi li rincorre ad ogni costo, o di chi li svaluta e se ne pente. Ci sono i matrimoni che viaggiano su binari morti, le occasioni perse che riaffiorano anni dopo, la reminiscenza amareggiante di un dettaglio visto in una sala operatoria, una vendetta la cui sobrietà seppellisce il cattivo gusto di chi sta dall'altra parte della parete. Ci sono i rapporti tra uomini e donne, gli incroci di generazioni, le incomprensioni e i pentimenti, gli affetti profondi. Una scrittura leggera, qualche pennellata di ironia, un passaggio attraverso il macabro che si concede qualche pagina, la passione che aleggia su tutto.

Perché l’erotico?
Ho inziato a scrivere racconti erotici per ritrovare, nella mia vita di coppia, le parole dell'amore che spesso si rischia di dare per scontate e lasciar seccare nel cuore. Poi mi sono accorto che questi racconti potevano avere una dimensione più ampia e mi ci sono dedicato con maggior continuità. Ho sempre visto l'erotico come un modo non tanto per parlare di "cose sconce" (anche perché per me non lo sono affatto), quanto piuttosto per arrivare al cuore delle situazioni e mettere letterlamente a nudo i personaggi. E' la situazione della vita in cui siamo maggiormente noi stessi e nella quale emergono, a volte con cruda verità, i nostri limiti e le nostre intenzioni. Tutt'altro è invece il porno e un certo erotismo quasi didascalico da cui cerco di tenermi il più lontano possibile. In genere fermo le mie storie sulla porta della camera da letto, perché penso che da lì in poi il lettore preferisca immaginare da solo. Diciamo che io slaccio i primi bottoni, poi la fantasia fa il resto.

Tanti personaggi, tante situazioni che non si sfiorano mai, ma che sembrano far parte di un unico dialogo. Da dove arrivano questi spunti?
Credo di essere un curioso della vita. Quando parlo con una persona mi chiedo sempre come sarà nel privato: la immagino rientrare sola a casa, appoggiare il cappotto, telefonare. Magari anche fare l'amore. Da tante letture, conversazioni, confidenze, ho ricorstruito dei personaggi che non hanno nulla delle persone vere da cui sono nati, eppure ne conservano una traccia, una radice. Questi personaggi sono per forza di cose scollegati tra loro, come viaggiatori in una città immaginaria. Mi piacerebbe però, un giorno, organizzare una grande festa e invitarli tutti.

Nel tuo rapporto tra la scrittura e la pubblicazione, sia on line che su carta, viene prima la tua voglia di raccontare o il giudizio di chi ti leggerà?
Sincero sincero? Credevo mi importasse poco del giudizio di chi legge. Ma non è così. Sono contento quando trasmetto un'emozione o quando mi dicono che un racconto ha smosso qualcosa. E in questo l'online, con la possibilità dei commenti, è fantastico: crea un rapporto molto più diretto. Però è anche vero che ho voglia di raccontare. A volte quasi un'urgenza, quando una storia mi gira in testa e sento che, se non la scrivo, rischio di fermare qualcuno per strada e raccontargliela. Così, in piedi sul marciapiede!

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