domenica 18 aprile 2010

Paola Casella, Cinema: femminile, plurale


E' un ruolo trasversale e totalizzante. Passa attraverso i film, le serie tv, i cartoni animati, con un denominatore comune e nuove connotazioni: la donna, così come è rappresentata sul grande schermo, da un lato è motore del divenire della storia, dall'altro rappresenta la capacità di creare legami solidali e di mantenere alta la determinazione, per  progredire verso qualcosa che possa essere sempre migliore. In questi ultimi dieci anni la figura femminile ha avuto un ruolo preciso nel cinema, una evoluzione dai significati molto forti, come mostra Paola Casella, critico cinematografico, che in Cinema: femminile, plurale (Le Mani Edizioni, 103 pagg. 14 euro) analizza decine di film che segnano il passaggio dalla rappresentazione di un femminile legato a frustrazioni, disparità e ancoraggio ai ruoli che ancora caratterizzava le trame di fine Novecento, alle aperture di questi ultimissimi anni. Così l'intuito e la saggezza, il nuovo senso della maternità, gli eroismi che cambiano volto, diventano gli strumenti di una analisi che racconta le predatrici e le nuove lolite, la femminilità "visionaria" di di Stanley Kubrick, il bisogno di un controllo sociale che passa attraverso nuove forme di umiliazione, e poi le cattive: le donne sbagliate, sgradevoli, negative.

In che modo conta la bellezza nell'immagine della donna sul grande schermo, e quale estetica è privilegiata in questo momento?
La bellezza sul grande schermo conta ancora moltissimo, soprattutto per le donne. Ma è di almeno due tipi: quella costruita a tavolino dal chirurgo plastico, che si adegua a standard uniformi e toglie espressività al viso delle attrici, e quella che, oltre ad essere un regalo di Madre Natura, è lo specchio di un’anima e di una personalità. Un esempio recente del secondo tipo di bellezza è Rachel Weisz, l’attrice inglese vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista per The Constant Gardener e ora protagonista di Agora di Alejandro Amenabar, dove interpreta il ruolo della filosofa neoplatonica Ipazia. Weisz è certamente bellissima, ma la sua è une bellezza vera, morbida (durante le riprese di Agora aveva appena dato alla luce un figlio), caratterizzata da un viso fortemente espressivo che non conosce bisturi, e il cui aspetto giovanile (l’attrice è vicina ai 40 anni, ma ne dimostra molti di meno) è dato da quella luce interiore che ben si adatta anche al suo personaggio idealista in Agora. Viceversa in Scontro fra titani, per restare nell’ambito delle nuove uscite cinematografiche, la dea Io, interpretata dalla bellissima venticinquenne Gemma Arterton, ha il labbro superiore evidentemente gonfiato dal silicone: possibile che una dea dell’antichità avesse bisogno dell’aiutino del chirurgo? E dove lo avrebbe trovato, il chirurgo, nell’Olimpo?
E' più forte la tv o il cinema nella creazione di modelli duraturi?
La domanda è ben posta perché la parola chiave è “duraturi”. Sul breve periodo infatti la televisione stravince, e ci impone modelli femminili usa e getta, sia dal punto di vista estetico che da quello etico, per usare una parola grossa. Il cinema invece crea da sempre modelli femminili che, se riusciti, si imprimono permanentemente nell’immaginario del pubblico, soprattutto quando incarnano un archetipo, o simboleggiano un particolare periodo storico. Questo vale tanto per i modelli positivi che per quelli negativi: nel mio libro infatti parlo sia delle donne visionarie al cinema, delle eroine e delle madri coraggio, quanto delle arpie, delle femme fatale, delle madri crudeli. Le star cinematografiche che sono riuscite a diventare icone vengono imitate molto più a lungo delle star del piccolo schermo: basti pensare a Audrey Hepburn, simbolo di una femminilità intelligente e raffinata, il cui faccino compare ancora oggi sulle nostre borsette e a cui si ispira anche Penelope Cruz nell’ultimo film di Pedro Almodovar, Gli abbracci spezzati. O per contro a Marilyn Monroe, simbolo della femminilità sensuale ma vulnerabile, il cui celebre abito bianco in Quando la moglie è in vacanza è ancora riprodotto dagli stilisti di mezzo mondo, e il cui fisico da pin up è imitato da molte soubrette, spesso con l’aiuto del chirurgo plastico di cui sopra, dimenticando che ciò che rendeva memorabile Marylin era l’imperfezione tutta naturale del suo corpo generoso e la fragilità disarmante che si leggeva sul suo viso mobile non paralizzato dal botulino.

Cosa caratterizza il cinema italiano rispetto a quello internazionale nel raccontare le donne?
Le attrici italiane, che negli anni Quaranta e Cinquanta hanno rappresentato in tutto il mondo la femminilità prorompente, l’istinto materno incontenibile e la sensualità mediterranea, nel cinema d’autore dagli anni Settanta in poi hanno incarnato un femminile più tormentato e conflittuale, in cerca di una nuova definizione, con un accento curioso sulla difficoltà a gestire il proprio ruolo di madre: a questo proposito Valeria Golino ha dato spesso volto e fisicità a mamme inadeguate (come in L’albero delle pere, Respiro, La ragazza del lago, o in Giulia non esce la sera, per citare qualche titolo), raccontando un cambiamento epocale nel nostro paese, tradizionalmente “mammista”, e oggi invece assai poco interessato ad aiutare le donne italiane, soprattutto le lavoratrici, nel loro essere madri. Questo cambiamento risulta più drammatico nel cinema italiano che in quello degli altri paesi, dove pure la femminilità è rappresnetata negli ultimi anni come “in transizione”, proprio perché l’archetipo (spesso sconfinato in stereotipo) femminile italiano è sempre stato così forte e vincente da identificare nella donna italiana, formalmente “sottomessa” ad una società maschile, regina del privato, dell’intimità e del focolare domestico (per usare espressioni vecchio stile). Per contro il cinema commerciale (quello dei cinepanettoni e dei cinecocomeri, per intenderci) continua anche oggi a raccontare le donne attraverso il desiderio degli uomini, dandone un’immagine stereotipata e lontana dalla realtà delle tante italiane che si impegnano seriamente nel lavoro e nella famiglia, e il cui criterio di femminilità non è quello esibito della velina ipersessuata. In generale però le donne nel cinema italiano, con le dovute eccezioni, faticano ad essere protagoniste, sia nella forza lavoro dell’industria cinematografica, dove sono numerosissime ma poco visibili e raramente in grado di prendere decisioni importanti, sia sul grande schermo. Probabilmente è in conseguenza del fatto che i registi e i produttori sono soprattutto uomini, e che circola la convinzione che un film con una protagonista femminile sia poco gettonato al box office: quando invece gli Stati Uniti ci stanno dimostrando che una protagonista, per di più in età avanzata, come Meryl Streep ha decretato il successo al botteghino di commedie da grande pubblico come Mamma mia! e E’ complicato.

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