Chi vive di libri ama i personaggi ricorrenti? Aspetta il nuovo romanzo con l'entusiasmo di trovare qualcuno di conosciuto tra le righe o preferisce nuovi scenari? Ecco le risposte di alcuni critici letterari, conduttori radiofonici di trasmissioni culturali, blogger e giornalisti.
Alessandra Buccheri, Angolo Nero
A volte il romanzo stand-alone non basta, ci sono personaggi le cui potenzialità non possono essere esaurite in una sola storia, né è opportuno mettere troppa carne al fuoco in un unico libro. Tre-quattro romanzi con lo stesso protagonista vanno bene, il quinto è a rischio. Rischio noia del lettore, rischio ripetitività, rischio che si esaurisca l'estro dell'autore. Meglio allora puntare su un co-protagonista, creare uno spin off, se si vuol mantenere comunque la continuità di situazioni ambientali. Oppure salpare verso lidi completamente nuovi.
Giovanni Choukhadarian, giornalista.
Sì ai seriali, ma solo e soltanto in quanto ambiscano al mito. Altrimenti, se il loro fine è rendere il lettore fedele al prodotto, direi che no, perché di motivi del genere se n'hanno le tasche piene.
Giuseppe Pastore, Thrillercafé.
Io voto per il sì. I protagonisti seriali diventano - se lo meritano - degli "amici" per il lettore, col tempo. Maturano, invecchiano, falliscono e si rialzano. Ci accompagnano durante lunghi anni, cambiano loro e cambiano noi, a volte ci perdiamo di vista ma quando li ritroviamo, nonostante tutto, è come se ci fossimo salutati il giorno prima.
Viva i personaggi seriali!
Marco Casa, conduttore radiofonico a Radio Marconi.
Sono molto favorevole ai personaggi seriali ma anche tutto sommato abbastanza sfavorevole. Dipende dall’uso che se ne fa. Dopo questo incipit banalissimo è il caso di spiegare meglio. Un personaggio seriale nella narrativa o nei fumetti è decisamente rassicurante per il lettore e per lo scrittore che ha trovato la chiave giusta per la porta del successo. Soddisfa la voglia di immedesimazione del suo pubblico e garantisce la vivace noia di una ripetizione sempre nuova. Bravo lo scrittore in grado di creare un personaggio seriale che appassioni. Bravissimo però l’autore che ha dato vita ad un personaggio seriale ma che ha l’umiltà o il coraggio di abbandonarlo per un po’ (o per sempre, se è il caso) quando si accorge che il suo “figlio di carta” non ha più niente da raccontare. E poi dipende dalle dosi con cui ci viene proposto l’eroe. Esemplari sono le strisce dei Peanuts che hanno il record di longevità, le si possono immaginare come goccioline distillate quotidianamente che mai stancheranno, proprio per le piccole dosi con cui vengono diffuse le loro storie.
Nicoletta Sipos, giornalista
Sui protagonisti seriali sono, in linea di principio, neutra. Secondo me funzionano se hanno caratteristiche molto ben definite, tanto da essere facilmente amati dal pubblico, e nella misura in cui reggono le storie di cui sono interpreti. La serialità stuzzica, secondo me, la curiosità del lettore e fidelizza. Gli esempi abbondano: da Harry Potter a Indiana Jones, da Sandokan e Yanez a Sherlock+Watson. Ma se la storia è loffia... ecco che perdiamo il lettore per sempre!
Raffaella Calandra, conduttore radiofonico a Radio 24.
Mi piacciono, con riserva. Solo in pochi casi, ma allora con convinzione. I protagonisti seriali mi conquistano se, superato il primo insidioso rischio fiction, continuino a saper sorprendere. Se siano familiari, ma restino avvincenti, autentici e non prevedibili. E se il loro mondo sia originale, vero e ammaliante. Come i racconti di certi vecchi dei paesi del Sud, che seduti d'estate davanti alle loro porte di casa, riescono ogni sera a pescare dalla memoria frammenti di saghe vissute e tramandate. Fondamentale, l'intimità del connubio tra il personaggio e la sua realtà: quel mondo che svela progressivamente, il lettore lo deve volere esplorare, ogni volta di più, attraverso i passi del suo protagonista. Credo che i protagonisti seriali siano una buona cartina di tornasole della "dimensione" di uno scrittore. Soprattutto di noir.