
Bel titolo, decisamente. Purtroppo non è una mia creazione, ma la tavola rotonda organizzata al Courmayeur Noir in Festival per fare il punto sul successo della narrativa sarda, sui suoi temi di fondo e su ciò che fa la differenza. Un'isola ad "alta densità di scrittori", se è vero che il rapporto è di uno ogni settemila abitanti. Ospiti dell'incontro: Michela Murgia, Giorgio Todde, Giulio Angioni, Wilson Saba, Giovanni Maria Bellu. Coordinatore: Marcello Fois (il suo ultimo libro è Stirpe, Einaudi). Partiamo da lui e dalla sua introduzione: "La scrittura sarda è scrittura internazionale? Ed è noir? La risposta ad entrambe le domande è tendenzialmente sì. È internazionale nel momento in cui non subisce il complesso del figlio minore che deve sempre giustificare le sue azioni. E' noir in quanto scrittura di inquietudine. Ma il noir è una categoria ampia, tanto che il suo senso sta anche nella sua trasgressione. La situazione odierna dell'editoria sarda mi pare florida, con un denominatore comune nell'uso insolito e creativo della lingua. Ci sono però due problemi principali: da un lato il folclorismo del volerla cacciare dentro una dimensione locale, dall'altro il provincialismo inteso come quell'aspetto esterofilo che deriva dal vergognarsi delle proprie origini. Altra questione è il rapporto con il luogo comune: una sorta di maledizione, un angelo che ti si siede accanto quando ti metti davanti al computer, ma che determina la qualità di uno scrittore. Per esempio la figura dell'accabadora è uno dei tre o quattro luoghi comuni della Sardegna, e avventurarsi in queste fauci, come ha fatto Michela Murgia, non è cosa da poco. Essere sardi non basta, bisogna saperlo essere".


Giorgio Todde (il suo ultimo libro è Dieci gocce, Frassinelli): "Mi si è inaridita la vena su questo tema: essere sardo per me non ha mai costituito un'aggravante. La Sardegna è un'isola, e come tale è metaforica e simbolica. Il nostro corredo genetico viene studiato in tutto il mondo, perché è puro, soprattutto di chi proviene dal centro dell'isola. Quindi, se la genetica determina la forma del nostro volto, il ragionamento deve partire anche da questo aspetto, e dalle caratteristiche che comporta essere un popolo appartato".
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