sabato 27 marzo 2010

Caterina Soffici, Ma le donne no

Opera a collage di Miss.Goffetown
Trattato d'amore: ti stringerò, ti coccolerò e ti vorrò per sempre bene

A volte le parole riemergono, a testimoniare l'esigenza di comunicare qualcosa che era scomparso, e che ora ritorna. Un concetto che rientra nel quotidiano, o forse anche di più: un dato di fatto. Che si vede, che parla, che esiste. La massaia, per esempio. Oppure l'angelo del focolare. L'illibatezza e i playboy. Credevamo di non averne più bisogno, di essere andati un po' più in là, tutti quanti. Invece ora riaffiorano, e insieme al significato, il vissuto che rappresentano. Viene da guardarsi alle spalle e cercare quale porta è rimasta a aperta per sbaglio, per capire dove e come si è abbassata la guardia in questi ultimi vent'anni. Ma poi ci si accorge che assieme al riaffiorare di questi scenari, è arrivato ben altro. Questo inventario lo fa molto bene Caterina Soffici in Ma le donne no (Feltrinelli, 205 pagg, 14 euro), alla ricerca di qualcosa che è sfuggito, e che ha prodotto una risultato spiazzante in questi ultimi due decenni: "Non solo le donne italiane non hanno più fatto progressi, ma hanno cominciato ad arretrare, svegliandosi nel paese più maschilista d'Europa". Già. Perché in questo paese del velinismo politico che nelle sue intenzioni vorrebbe affossare ogni prospettiva di credibilità e solidità intellettuale della donna, in cui i part time sono sempre più difficili da ottenere a vantaggio di un allontanamento totale dal lavoro, e dove l'immagine della donna in televisione e in pubblicità - i due più forti e suggestivi mezzi di comunicazione - ha ormai raggiunto livelli agghiaccianti, ogni uomo ha 81 minuti e mezzo di tempo libero più di ogni donna. Uno spazio enorme. 

Perché, nonostante la consapevolezza, non si riesce a ridimensionare questa disparità?
Intanto perché la consapevolezza in verità non c'è. Pochi conoscono questi dati. Molte persone di fronte agli 81 minuti e mezzo, che non ho inventato io ma semplicemente riprendo da una statistica dell'Ocse, rimangono basite e incredule. Preso atto della differenza, bisognerebbe che le donne fossero le prime a contribuire a cambiare la mentalità dei propri partner e soprattutto insegnassero ai propri figli e figlie che non tutto è scontato. Bisognerebbe che imparassero ad amarsi di più, a coltivare dei propri interessi e per esempio andassero una sera la settimana al cinema con le amiche senza lasciare la cena pronta. Il problema, ovviamente non è solo questo. Ma da questo derivano la mancanza di combattività, la mancanza di reazione, l'assuefazione in ruoli poco interessanti e poco creativi. Siamo peggio delle geishe giapponesi e delle mogli dei messicani: lì gli uomini sono meno maschilisti. E a parlare sono ancora una volta i numeri.

“Perché le donne italiane hanno smesso di combattere per difendere i propri diritti?”: è una delle domande di fondo di questa ricerca, che apre scenari vastissimi. Si riesce a trovare una risposta?
Le donne hanno smesso di combattere perché credono che non ce ne sia più bisogno. Credono di essere libere di scegliere cosa fare della propria vita e invece non è affatto vero. La maternità, per esempio, sempre più spesso diventa un handicap. Sempre più spesso le donne sono costrette ad abbandonare il lavoro alla nascita di un figlio. Nel libro racconto storie di maternità difficili, di part time negati, di disciminazioni che non sarebbero ammissibili in altri paesi non solo d'Europa ma anche dell'Africa. Le donne italiane hanno perso l'autostima, prese a rincorrere ideali televisivi che non sono certo quelli della vita di tutti i giorni.

Tra tutte le manifestazioni di sessismo, misoginia e disparità che si stanno radicando, qual è a tuo parere la più pericolosa? Quella che davvero rischia di radicare un modello sul quale è difficile ragionare?
Tra le varie manifestazioni la più pericolosa è quella più subdola, cioè quella meno visibile anche se sotto gli occhi di tutti. E cioè quella che lavora sull'inconscio, sull'immaginario. Cioè quella veicolata dalla televisione modella bonona con labbra siliconate e tette rifatte, oppure quello della pubblicità. Un fiorire di modelli irraggiungibili che da una parte creano frustrazione (non a caso sono in aumento i casi di bulimia e di anoressia, le depressioni, le malattie psicosomatiche segno di una profonda insoddisfazione del proprio ruoleo e del proprio fisico), dall'altro relegano la donna in ruoli superati, un armamentario anni cinquanta fatto di massaie e signorine da marito, la cui vita dipende da quella del maschio portatore di soldi e benessere sociale. Insomma, se non ci diamo una mossa, scivoleremo lentamente ma inesorabilmente verso il terzo mondo.



1 commento:

ohan ha detto...

Che ragazza per bene, la Caterina Soffici, che libro riuscitone, che bella intervista. Brave.