martedì 30 dicembre 2008

La Fura dels Baus, Imperium

Voglio salutare questo 2008 ricordando lo spettacolo che quest'anno mi ha più colpita e coinvolta: Imperium, della compagnia spagnola La Fura dels Baus. Violento, apocalittico, allegorico, inquietante, spunto di riflessione su se stessi e sulle dinamiche del mondo, sul desiderio di potere e sulle lusinghe della prevaricazione. Un po' tutto insomma.
In questo video una sintesi di colori, rumori, degli incontri-scontri tra crudeltà e bellezza, dei corsi e ricorsi storici, di quella punta d'angoscia che ti regala.

domenica 28 dicembre 2008

Enzo Santambrogio, Scandalo Ticosa in vaso

Enzo Santambrogio, 100% scandalo TI.CO.SA. in granuli
(Barattolo da conserva, detriti industriali, sassi).
Controindicazioni: tenere lontano dalla portata dei bambini.
Non usare come esempio. Da smaltire preferibilmente entro...?

La rovina dell'ex tintostamperia Ticosa di Como, da simbolo di un settore che ha arricchito un intero territorio e creato un'economia, a rifugio labirintico per disperati di ogni nazionalità. Vent'anni di decadenza esibita al centro della città, un deposito di amianto silenzioso, ignorato e sconosciuto.

Massive Attack, qui.

sabato 27 dicembre 2008

Liza Marklund, Il lupo rosso


Annika Bengzton, reporter di punta della Stampa dell'Express di Stoccolma, è l'investigatrice protagonista dei romanzi della svedese Liza Marklund, a sua volta giornalista e presentatrice televisiva, ambasciatrice dell'Unicef e autrice di documentari, molto attiva nella difesa dei diritti delle donne nel suo paese. Un personaggio irrinunciabile anche in quest'ultimo Il Lupo Rosso (Marsilio, pagg. 494, 19 euro), dove la giornalista cerca di indagare su un vecchio attentato terroristico rimasto irrisolto. La sua fonte viene uccisa prima che riesca a parlarci, così le ricerche di Annika - trentacinque anni, un matrimonio in difficoltà e due bambini da accudire - la portano fino a un uomo che sta cercando di ricreare un gruppo del suo passato: nella analisi di questa scelta folle e fanatica, la Marklund cerca le ragioni delle scelte estreme. 
Il terrorismo è il tema di fondo di questo romanzo, in cui si incrociano molte altre questioni, alcune legate alle scelte quotidiane di ognuno di noi. L'interesse per i fatti di cronaca è il dato di partenza della tua ideazione di una trama?
"Io ho uno scopo: voglio cambiare il mondo. Così in ogni mio romanzo c'è un argomento di fondo che deriva dalla storia. Qui abbiamo il tema della casa, della propria appartenenza, non solo spirituale ma anche al sé, alla propria dimensione. Il rischio è di trovare tutto questo al di fuori della società. Nei romanzi mi interessa scrivere qualcosa che non si vede subito, ma che si percepisce strada facendo". 
La solitudine dei bambini di oggi è un altro aspetto che affiora dalle pagine. Quale ascolto possono trovare?
"Il male nasce dal desiderio di potere, e il bambino è la persona che ha meno potere di tutti. E' un desiderio che conduce verso la violenza: gli adulti malvagi sono spesso stati bambini che non avevano potere, che sono stati ignorati dagli adulti. E' questo che mi interessa descrivere. Con i bambini occorre avere molto dialogo, spiegare loro le differenze, aprirgli gli occhi fin da piccoli su tutto, anche su come vengono trattate le donne ovunque, sul fatto che non vengono trattate bene da nessuna parte, nemmeno in Svezia o in Italia. La famiglia è uno dei passaggi fondamentali per sviluppare la capacità di giudizio e l'idea di appartenenza, per non sviluppare un senso di esclusione dal mondo. Invece ci sono persone che ritengono di poter essere forti anche da sole, senza bisogno di condivisione o di comunanza di desideri, ma è sempre un errore".
E' più pericolosa la violenza fisica o quella psicologica?
"Sono ossessionata dal potere. In questo libro in particolare voglio inquadrare cosa succede quando una persona di potere viene ricattata per il suo passato, trovandosi in una situazione in cui potrebbe abusare della propria posizione. E' una forma di violenza inconscia, che ti toglie il terreno sotto i piedi".

La musica è Miss Sarajevo degli U2, con Brian Eno e Luciano Pavarotti

venerdì 26 dicembre 2008

Cactus


Come l'ispettore di polizia bucciarelliano Maria Dolores Vergani, ora anch'io ho il mio cactus da scrivania. Mi è piaciuto subito questo regalo semplice semplice. E' bello nella sua forma compatta, con le sue spine lunghe e pungenti come punte di sciabole. Difficile da avvicinare, pericoloso anche con chi si vuole prendere cura di lui. "E' come l'amicizia profonda - c'era scritto nel bigliettino che lo accompagnava - sopravvive anche se non te ne prendi cura ogni giorno". Grazie F.

mercoledì 24 dicembre 2008

25 dicembre 2008: i libri regalati

Quest’anno ho regalato libri a tutti, ai grandi e ai piccoli. Qualcuno ha ricevuto una fornitura che lo accompagnerà per qualche mese, qualcun altro quanto basta per rendere un po’ speciale una sera, ma tutti pensati con attenzione. Con dedica dell’autore, quando sono riuscita, oppure assieme a un po’ di cioccolato, quello davvero buono. La lista è questa, preceduta dagli auguri di Monica Galanti (Oiseaux maison, cm 12x16, tempera, china e collage).


I PULCINOELEFANTE, POCHE RIGHE MA BELLISSIME
  • Alfredo Tamisari, Una fiaba (con ori di Luigi Mariani)
  • Davide Oldani, Una vocale del cuoco (con astrazione di Andro Barissone)
  • Gruppo G, Una città
  • Lea Vergine, Qualcosa (con foto di Anna Fasolis)
  • Pietro Pedeferri, Oro Ruggine (con ori di Luigi Mariani)

A CHI VUOLE STORIE RACCONTATE, VERE O DI FANTASIA
  • Angelo Petrella, Cane rabbioso, Meridiano Zero
  • Antonio Dal Masetto, E’ sempre difficile tornare a casa, Einaudi
  • Antonio Paolacci, Flemma, Perdisa
  • Carlo Lucarelli, Tenco a tempo di tango, Fandango
  • Elisabetta Bucciarelli, Femmina de luxe, Perdisa
  • Elisabetta Bucciarelli, Happy hour, Mursia
  • Giancarlo Narciso, Un’ombra anche tu come me, Perdisa
  • Jean-Marie-Gustave Le Clézio, Deserto, Rizzoli
  • Jean-Marie-Gustave Le Clézio, L’africano, Instar Libri
  • Jean-Marie-Gustave Le Clézio, Onitsha, Rizzoli
  • Léo Malet, Trilogia nera, Fazi
  • Paolo Moretti, La cicogna che sconfisse l’aviaria, Infinito Edizioni
  • Rose Duchemin, Pagherò quando passano gli sgombri, Cda Vivalda

A CHI LEGGE DI SCIENZE, NATURA E VIAGGI
  • Giuseppe Gavazzi, La colorata lentezza delle galassie. Vita di uno scienziato irriverente, Marsilio
  • Ian Stewart, L’eleganza della verità. Storia della simmetria, Einaudi
  • Maurizio Tosi e Franco La Cecla, Bruce Chatwin: viaggio in Afghanistan, Bruno Mondadori
  • Michel Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi
  • Paul J. Steinhardt e Neil Turok, Universo senza fine. Oltre il Big Bang, Il Saggiatore
  • Raj Patel, I padroni del cibo, Feltrinelli
  • Roger Peyrefitte, Dal Vesuvio all’Etna, L’Ancora del Mediterraneo
  • Tim Moore, Due baffi sottozero. Avventura nell’Artico, Tci

QUALCOSA DALLE CRONACHE
  • Emilio Randacio, Una vita da spia, Rizzoli
  • Gigi Di Fiore, L’impero. Traffici, storie e segreti dell’occulta e potente mafia dei Casalesi, Rizzoli
  • Patrick Fogli, Il tempo infranto, Piemme
  • Pino Corrias, Vicini da morire, Mondadori

AI BAMBINI
  • Alberto Anelli e Tony Martucci, Il caffè della Peppina, Gallucci (con disegni di Silvia Ziche e cd)
  • Andrea Valente, Quando Babbo diventò Natale, Gallucci
  • Anna Lavatelli, Manuale della Befana, Interlinea
  • Geronimo Stilton, La maratona più pazza del mondo, Piemme
  • Geronimo Stilton, Tutta colpa di un caffè con panna, Piemme
  • Ian Dicks e David Hawcock, Srotola la mummia, Mondadori
  • Il mondo di Cars, Motori ruggenti, Disney Libri
  • Jutta Bauer, Urlo di mamma, Nord Sud Edizioni
  • Mick Wells, Ian Honeybone, Nella casa delle streghe, White Star (con illustrazioni di John Lupton)
  • Nikalas Catlow, Scarabocchi creativi, Magazzini Salani
  • Roberto Grotti, I due liocorni, Gallucci (con disegni di Silvia Ziche e cd)
  • Rufus Butler Seder, Al galoppo!, Rizzoli
  • Sylviane Donnio e Dorothée de Monfreid, Mangerei volentieri un bambino, Babalibri
  • Thando McLaren e Leo Hartas, Viaggio nel tempo alla scoperta del mondo antico, White Star

FUMETTI
  • Andrea Pazienza, Zanardi 1 (1981-1984), Fandango
  • Luigi Bernardi e Onofrio Catacchio, Fantomas, Edizioni BD

In sottofondo Enya

martedì 23 dicembre 2008

Sharon Bolton, Sacrificio

Le isole Shetland, viste solo da lontano per non farsi influenzare da un ambiente diverso dall'immaginario. Una leggenda secondo la quale le donne venivano rapite per essere costrette a procreare, e poi uccise. Un incipit nato la notte di Capodanno in Austria, osservando le persone che ballavano sulla neve. Il Sacrificio che dà il titolo al romanzo di esordio di Sharon Bolton (Mondadori, pagg. 442, 19 euro), è esattamente questo: "Per ogni bambino che nasce, una donna deve morire". Nella trama, che procede con una scrittura piana e regolare, si mescolano leggende nordiche e situazioni claustrofobiche, in una fusione stilistica che parte dal thriller e procede verso il fantasy e il genere medico-esoterico. 
Questa contaminazione era già nell'intento iniziale del libro?
"No, non l'ho fatto coscientemente. C'era una storia che volevo scrivere, partendo dalla leggenda, che però tenesse sotto controllo l'elemento soprannaturale. Ho cercato di controbilanciare gli aspetti medico-scientifici con la cultura legata alle rune, per esempio, l'alfabetico celtico utilizzato nel romanzo per incidere i segni sulla schiena delle donne uccise".
Le donne sono coinvolte nel momento di maggiore vulnerabilità. C'è una sorta di identificazione in questo?
"Quando si scrive il primo libro penso che sia inevitabile identificarsi con almeno un personaggio. Io ero incinta, dopo aver superato molte difficoltà per portare avanti la gravidanza, e sapevo bene cosa significava desiderare un figlio e far fatica ad averlo. Ho cercato di raccontare una donna ideale, ma le ho trasmesso anche molti dei miei difetti".
La scelta di ambientare il romanzo su un'isola, deriva anche dal voler accentuare il senso di claustrofobia?
"L'isola è un mondo a parte, che ha regole sue. I suoi abitanti spesso si vedono come indipendenti e distanti rispetto a chi vive sulla terraferma, e quando qualcuno arriva da fuori si trova calato in questa dimensione. Le Shetland sono un posto ancora più particolare, con case minuscole, piccole strade e luoghi che non permettono di nascondersi, tantomeno di fuggire. Erano il posto ideale per ambientare Sacrificio"

Eccoli, questi paesaggi nordici, cantati da Björk

domenica 21 dicembre 2008

Richard Price, La vita facile


Un libro che inizia con un omicidio e finisce con la soluzione di un'indagine, ma che tra la prima e l'ultima pagina racchiude un mondo, raccontato con la padronanza di chi in mezzo a quella gente ci è cresciuto. Il Lower East Side in cui il newyorkese Richard Price ambienta La vita facile (Giano, 512 pagg., 19 euro) è l'ex quartiere di sbarco degli immigrati, il quartiere ebraico, oggi protagonista di una globalizzazione solo apparente, dove ogni gruppo etnico continua a non contaminarsi con gli altri, ma nel quale i prezzi delle consumazioni sono lievitati a vista d'occhio grazie ai nuovi locali alla moda. 
Questo libro si può definire un poliziesco?
"In buona parte sì, ma c'è anche la storia di un luogo che esiste, un luogo dell'anima fatto di persone che si parlano senza mai riuscire a spiegarsi. Il mio obiettivo era descrivere un quartiere, uno dei più importanti degli Stati Uniti, dove sono nati Little Italy, Cinatown e la parte ebrea, dove sbarcavano gli emigranti che subito volevano fuggire da lì, andarsene. Qui è iniziata anche la storia della mia famiglia, un secolo fa. Partivano tutti da lì, facendo i lavori più umili, e ora si arriva a pagare cinque dollari per un gelato. Oggi i giovani conoscono i bar alla moda di questa zona, e non i fantasmi che portano ancora nel sangue dopo tante generazioni. Io ho cercato questi mondi: ebrei, ortodossi, cinesi clandestini. Tutti mondi che condividevano lo spazio, ma che non si vedevano mai tra di loro. Solo in alcune ore della notte questi mondi si incrociano, quando i ragazzi escono per andare a divertirsi, o quando arrivano i neri a rapinare i bianchi ricchi".
Cosa scatena l'omicidio da cui parte il libro?
"Un equivoco linguistico. C'è una rapina, c'è un ragazzo con una pistola e un altro che lo provoca, e poi tutto viene descritto come un suicidio. Questa è una New York universale, una babele comunicativa con una incapacità di dialogo di fondo. E' una condizione tipicamente americana, ma allo stesso tempo fondante, che si ritrova nelle metropoli europee. In questo contesto, il razzismo diventa come l'influenza, come qualcosa da cui chiunque può essere contagiato, persino io".
Che ruolo hanno la sonorità e il ritmo della narrazione?
"Sono aspetti molto importanti, perché io sono uno scrittore che cerca di introdurre nel suo narrare i ritmi di James Brown, quelli di un ballerino, di un giocatore di basket. Cerco di trovare i ritmi giusti per la storia e di scrivere frasi che non sono mai state scritte. Ad ogni pagina mi sento come un pugile che ha l'allenatore nell'angolo del ring, e che lo sprona di continuo ad andare avanti".

Evocato da Price, eccolo qui

venerdì 19 dicembre 2008

Karen Guancione, Market Value

Immagini dell'installazione dell'artista Karen Guancione, Market Value. Assemblaggio di centinaia di sacchetti di plastica riciclata cuciti tra di loro e provenienti da tutto il mondo. 
(size: 35 x 15 1/2 x 9 feet) © Karen Guancione 2008

Fino al 18 gennaio alla Rupert Ravens Contemporary di Newark
(click sulle immagini per ingrandire)



lunedì 15 dicembre 2008

La coperta delle donne


LA COPERTA DELLE DONNE
150 artiste per un progetto di Alina Rizzi
tessuto e materiali vari
cm.450 per cm. 300
Attualmente esposta a Mosca

(click sull'immagine per ingrandire e vedere da vicino i pezzi)

Alina Rizzi, Evelina Schatz, Nadia Magnabosco, Mavi Ferrando, Renata Meženov Sa, Margherita Mariani, Nadia Mariani, Patricia Yumi Kawahara, Monika Wolf, Anna Aurenghi, Mariella De Santis, Susanna Hinnawi, Armanda Verdirame, Anna Maria Prina, Silvia Cibaldi, Marilde Magni, Antonella Prota Giurleo, Anna Rosa Faina Gavazzi, Sylvie Durbec, Susanna Lehtinen, Pirjo Heino, Simona Fumagalli, Jiulia Riabova, Rita Frigerio, Antonia Anzani, Isa Martini, Clotilde Broglia, Irja Rautala, Bianca Madeccia, Marta Dolfin, Christa Maria Wibbelt, Chiara Bonetti, Monica Marina Rossi, Rosanna Veronesi, Daniela Invernizzi, Maimuna, Gretel Fehr, Aurelia Pasotti, Bice Masciadri, Manuela Amati, Nevia Gregorovich, Fausta Squatriti, Gulla, Giada Mariani, Franca Munafò, Carolina Cuneo, Lis Rejnert Jensen, Rosa Knippling, Emanuela Comparetti, Fatima, Donatella Berra, Susy Zappa, Rosalba Battaiotto, Mari Jana Pervan, Hanne Matthiesen, Enrica Mauri, Stefania Mazzi Spagnol, Graziela Gianola, Ulla Drejo Jensen, Marisa Cortese, Emanuela Mezzadri, Vera Wildner, Iara Saltiel, Carnen Jardin, Vera De Antoni, Stefania della Torre, Marilù Cattaneo, Susanna Hinnav, Lucia Thoné, Mara Caruso, Estelia Branco, Luisella Carretta, Carolina Cuneo, Teresina Bof Reis, Heloisa N. Sonagua, Mesther Mussoi, Clara Figueira, Deo Miranda, Thereza De Azevedo Jacob, Leci Bohn, Sirlei Caetano, Vera Regina Presotto, Rosana Lang, Marialuiza Cangeri, Therezinha Fogliato Uma, Jane Beatriz Balconi, Jasira Fagundes, Luiza Gutierrez, Maria Do Carmo Toniolo Kuhn, Maria Darmeli Araujo, Jeanette, Jussara Leite Krombauer, Nevia Mattioli Leite, Terezinha Dirce M. Jesus, Eny Herbest, Maria Cecilia Remunato, Elia Gatti, Vania, Gunel Yuran, Micaela Toruaghi, Giuliana Pongiglione, Francesca Santucci, Bruna Di Rodi, Maria Sabrina Consonni, Kosty, Elisabetta Colzani, Teresa Turati, Emanuela Comparetti, Lavinia Thys’, Marina Costa, Ieda F. Mariano, Maria Julieta Ferriera, Teresina Bianchi, Marines Spagnol, Maria Eliane Radè, Alba De Col, Paola Pioppi, Serena Rossi, Stefania Ratti, Celina Spelta, Maria Inversi, Sylvia Faddis, Giuliana Galli, Chiara Pioppi, Antonia Pozzoli, Cristina Caremi, Mariella Bianchi, Paola Marchetti, Angelica Tulimie, Irma Kennaway, Draga Obradovic, Brigitte Koehne.

sabato 13 dicembre 2008

Donne, noir, potere, violenza


Premetto che questa è solo una sintesi, ma molto densa e ricca. Una scelta dei passaggi più significativi di un'ora e mezza di tavola rotonda organizzata durante quest'ultima edizione del Courmayeur Noir in Festival. Tema iniziale: Noir al femminile. Partecipanti: Elisabetta Bucciarelli, Simona Vinci, Chiara Tozzi, Alicia Gimenez-Bartlett, Liza Marklund, Sharon Bolton. Questa l'ossatura, ora passiamo ai contenuti, introdotti ottimamente da Loredana Lipperini, moderatrice di un incontro che sarebbe potuto proseguire per tutto il giorno: "Due dati di partenza. La matrice passionale è al primo posto tra gli omicidi in Italia, e nel novanta per cento dei casi le vittime sono donne, chi uccide è un uomo: marito, padre, fidanzato, fratello, ex compagno. Nelle immagini che scorrono in televisione, la donna è quasi sempre soubrette o protagonista della cronaca nera, quindi velina o cadavere. Iniziamo da qui, chiedendoci come uscire dalla triade di stereotipi femminili individuata da Simone De Beauvoir: brava accuditrice, dark lady o morta".
Bartlett: "Petra Delicado è un personaggio femminile violento, perché volevo dare grande importanza alla donna, renderla protagonista di situazioni positive e negative. Non è mai angelica, nemmeno nelle riflessioni che fa sulla vita".
Bucciarelli: "Ho creato una figura femminile di ispettore di polizia, Maria Dolores Vergani, chiedendomi come sarebbe oggi una donna quarantenne, single, che vive del suo lavoro e che si confronta con i modelli del quotidiano. Come si porrebbe nei confronti della violenza. Tutto questo prende forma nelle donne dei miei libri, perché lo stereotipo parte sempre da un dato reale. La donna oggi si confronta con un'aggressività che le è stata negata per secoli: è importante il recupero delle emozioni e dei sentimenti che sono patrimonio degli uomini e delle donne, ma che a queste ultime sono stati negati, in una incapacità di difendere i propri limiti e i propri spazi".
Bolton: "Affronto l'archetipo vita-morte, attraverso situazioni al limite della mitologia. In realtà con "Sacrificio" non avevo intenzione di scrivere un romanzo sugli stereotipi femminili, sono partita da una leggenda che mi affascinava molto, delle isole Shetland, dove le donne venivano rapite per essere costrette a procreare. Mi sono così trovata ad affrontare la vulnerabilità femminile, che raggiunge il suo massimo durante la gravidanza, e in questo momento così delicato le donne vengono sfruttate dagli uomini. Così è nata l'eroina del libro, una donna che si contrappone all'uomo sfruttatore".
Tozzi: "Ritengo che nel giallo e nel noir non ci siano regole che i lettori si aspettano, e quindi la specificità femminile o maschile nella lettura penso che non esista. E' però possibile che ci sia una sorta di inconsapevolezza di fondo, provocata dalle riflessioni che alle donne derivano dall'essere oggetto di violenza, o soggetti apparentemente più deboli. Tempo fa Stephen King aveva raccontato, in una saggio sulla scrittura, quanto è divertente spaventare una donna. Questa è una caratteristica degli uomini: per loro è un gioco, un'astrazione del concetto di violenza che deriva anche dall'atavicità del genere, mente invece la donna ha sempre un approccio più concreto alle cose".
Marklund: "La mia protagonista è una donna che ama i bambini e il marito, che è ambiziosa nel lavoro e crudele con i collaboratori. E' quello che la donna dovrebbe essere secondo ogni uomo, mentre per noi è un assurdo. Ho voluto creare un modello di riferimento per ogni donna, un personaggio che potesse essere usato da invocare quando si presenta un problema, e invito ogni mio lettore a farlo".
Vinci: "Spesso le donne sono complici di un sistema, dove chiunque detiene il potere lo esercita su chi è più debole. Per questo le donne dovrebbero impegnarsi di più. Io non mi sono mai posta il problema maschile/femminile, penso solo in termini di esseri umani, perché diversamente potrebbe rivelarsi una gabbia. Questo discorso vale anche per il genere narrativo, non bisogna chiudersi in una gabbia. Oggi bisogna essere belle perché altrimenti si hanno difficoltà sul lavoro, bisogna fare figli perché se no si viene considerate come persone che hanno dei problemi o che non hanno risolto qualcosa. Invece io ho scritto romanzi con donne cattivissime, ambientati in epoche in cui le donne dovevano essere buone".

Lipperini: "Uno dei grandi equivoci su cui la narrativa ha poggiato a lungo, è che le donne raccontano mondi piccoli, e nel momento in cui la narrativa amplia il suo sguardo, sembra che il mondo della scrittura femminile venga tagliato fuori".
Bartlett: "Tutti i mondi sono piccoli. Nel momento in cui abbiamo iniziato a diventare protagoniste della letteratura, tutte le strade si sono aperte, ma bisogna prendere sul serio la qualità letteraria, perché non si può riempire il mondo di spazzatura. Questo, del rigore artistico, è un canale importante che dobbiamo imparare a utilizzare bene".
Bucciarelli: "Rileggendo i testi femministi o femminili, ci si accorge di passaggi drammaticamente attuali. La domanda, mentre si scrive, è se non vale la pena di mettersi in gioco con modelli diversi, anche a costo di non essere riconosciute immediatamente: per esempio le mamme cattive, che esistono nella nostra realtà, potrebbero essere un'immagine da tenere in considerazione, e con la quale iniziare a fare i conti".
Bolton: "Mentre scrivevo mi sono chiesta cosa avrebbe fatto un uomo con la mia storia, per cercare di dargli un respiro diverso, ma alla fine sono contenta di aver tenuto un punto di vista femminile".
Tozzi: "Non c'è differenza tra grandi questioni e dimensione domestica, perché nelle mura di casa nasce il modo di affrontare qualsiasi tema. Se una donna scrive di un ambito domestico, si dice che è una piccola storia, che è narrativa rosa, ma se lo fa un uomo cambia il metro di valutazione. Ci sono esempi eccellenti di questo, come la grande letteratura di Tolstoj. Dobbiamo essere noi per prime a sfatare i cliché, perché è qui che nascono le sfortune a cui si crede di doversi adattare".
Marklund: "La differenza tra uomo e donna sta nelle aspettative, soprattutto nelle nostre. Tutto sta nella prospettiva nella quale ci collochiamo, ma non bisogna dimenticare che noi siamo diverse perché abbiamo esperienze diverse, e questo inevitabilmente si riflette nella scrittura".
Vinci: "Lo sforzo più importante sta nella scrittura, perché il valore artistico è al primo posto. Elsa Morante, con La storia, ha costruito un personaggio femminile che avrebbe potuto essere creato anche da un uomo. Agota Kristof, in Trilogia della città di K., ha riunito una piccola e una grande storia. Bisogna avere più coraggio in questo".

A questo - non poco - si aggiungono gli spunti di lettura o rilettura:
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore
Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli
e quindi Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Einaudi
Alicia Gimenez-Bartlett, Segreta Penelope, Sellerio
Elisabetta Bucciarelli, Femmina de luxe, Perdisa
Simona Vinci, Strada Provinciale Tre, Einaudi e Come prima delle madri, Einaudi

Per la musica ho scelto Amy, qui e qui.

giovedì 11 dicembre 2008

Victor Gischler, La gabbia delle scimmie


"Imboccai la Florida Turnpike con il cadavere decapitato di Rollo Kramer nel bagagliaio della Chrysler, continuando a ripetermi mentalmente che avrei dovuto stenderci sotto un telo di plastica. D'accordo, la carretta era a nolo, ma non mi andava di lasciare in giro trofei per l'inevitabile safari della Scientifica. Ora mi sarebbe toccato staccare il tappetino del bagagliaio, innaffiare il sangue di candeggina e sperare che l'Avis impiegasse un sacco di tempo ad accorgersene. Molto meglio se avessi speso un minuto a stendersi sotto un telo di plastica. Merda".
Questo è già Charlie Swift, protagonista in prima persona, a partire dall'incipit, dell'ultimo romanzo di Victor Gischler, arrivato al Courmayeur Noir in Festival dalla Louisiana, La gabbia delle scimmie (Meridiano Zero, pagg.255, 15 euro). Gangster violento, unico sopravvissuto a una guerra tra bande criminali, obiettivo primario di una caccia all'uomo che si sviluppa con ritmi veloci, tra reazioni estreme e humor nerissimo, Charlie rimane legato fino all'ultimo a una sua morale totalmente scollata dalla civiltà, ma capace di rispondere alle regole di obbedienza di quel mondo parallelo che è la delinquenza. 
Qual è il suo concetto di narrativa nera?
"Costruisco personaggi che hanno problemi interiori e difficoltà amplificate dall'ambiente esterno. Questo non è esattamente voler fare noir, ma diventa una conseguenza di dati di partenza forti, di questa fusione tra personaggi e ambiente. Sono tutte persone che pensano di fare scelte giuste, e invece si trovano nei guai".
Perché questa scelta di rappresentare sempre soggetti distruttivi?
"E' una mia perversità, mi diverto. E' nato tutto da un libro secondo il quale la cosa importante, nella scrittura, era creare ai protagonisti guai e situazioni difficili. Io alla fine li salvo sempre, e questo mi differenzia dal noir. Anche qui Charlie sembra aver perso tutto, perché la sua gang sparisce e con lei il suo mondo, i suoi punti di riferimento. Lui diventa un cane sciolto allo sbando, ma alla fine trova il modo di venirne fuori".
Ma quindi la sua dimensione della società è di questo genere?
"Non è positiva né negativa, è solo il prodotto di quello che succede. Ci sono persone di ogni genere che si comportano nei modi più diversi. Il risultato, per come la vedo io, è che la società non ha un cervello, ma è l'insieme di una pluralità di situazioni e punti di vista".
Qual è il messaggio di fondo che vuole trasmettere al suo lettore? 
"Nei miei libri i personaggi possono scoprire dei lati della loro personalità che non sapevano di avere. Per esempio l'amicizia o il senso di lealtà, seppure rapportati alle situazioni che vivono. In questo libro parliamo di una parte della società che non rispetta le regole e la legge, eppure anche in Charlie c'è qualcosa di buono: la fedeltà, l'amicizia che sa dimostrare verso chi lo ha aiutato. Lui è il mio eroe del romanzo, anche se è difficile vederlo positivamente. Tuttavia questo serve a creare contraddizioni e a chiedersi da che parte si vuole stare: il lettore è da solo davanti alla pagina e agli accadimenti, non si deve confrontare con nessuno. Può essere sincero con se stesso e arrivare anche ad ammettere il senso di complicità che gli scatena un personaggio così negativo".


mercoledì 10 dicembre 2008

Le donne di Alicia


Il Premio alla carriera Raymond Chandler Award 2008, è andato ad Alicia Giménez-Bartlett, scrittrice catalana creatrice dell’ispettore della polizia di Barcellona Petra Delicado, ma anche autrice di numerosi libri di narrativa svincolata dal genere, come l’ultimo uscito. “Sono molto orgogliosa di ricevere questo premio – ha detto mentre Dario Argento, sul palco del Courmayeur Noir in Festival, le assegnava il riconoscimento – ma credo che anche Chandler apprezzi il fatto che sia stato dato a me”. Un’ironia che si ritrova nei suoi libri, nelle sue donne determinate e costantemente battagliere, nei suoi uomini quasi rassegnati ma divertenti. Alicia è una scrittrice che leggo sempre (il suo nuovo libro è in arrivo, dice), che mi piace molto e mi coinvolge. Conoscerla e parlarle è stato un grandissimo piacere, che voglio condividere con chi avrà la pazienza di leggere questo post.

Impossibile non ritrovarsi in una di loro. Quattro donne che riconducono ad altrettanti modelli, cristallizzazioni delle scelte di fondo e di vita, dell’educazione, delle prospettive e le ambizioni, della dedizione rincorsa o negata. Alicia Giménez-Bartlett racchiude il mondo femminile nei quattro personaggi protagonisti di Giorni d’amore e inganno, il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia da Sellerio (445 pagg., 16 euro) misurati in una dimensione claustrofobica, che impedisce di fuggire e soprattutto di non mostrarsi. Così le verità e le bugie hanno vita breve, i drammi e gli scandali sono condivisi, l’apparenza stravolta, gli errori di valutazione smascherati, anche a costo del dramma. Queste quattro donne sono rinchiuse nel lusso fittizio di un resort per stranieri in Messico, dove passano la settimana in attesa del ritorno dei mariti ingegneri dal cantiere. Paula, dal carattere difficile, intelligente ma incline all’autodistruzione; Victoria, intellettuale misurata e ottimista; Susy, giovane e ingenua, fresca di un matrimonio costellato di grandi aspettative; infine Manuela, donna votata alla carriera e ai successi del marito, polso fermo e spirito da matrona. Tutte costrette alla forzata convivenza.
Come è stato accolto questo libro così diverso dai precedenti?
“In Spagna decisamente male. Ha ricevuto dure critiche per il suo contenuto, è stato detto che ho creato una situazione di conflitto tra queste donne, tale da farle attaccare reciprocamente. In realtà è un romanzo sull’equilibrio economico-sentimentale. E’ una storia che riproduce una dinamica: quando ci sono decisioni forti all’interno di un gruppo, ci si chiude in se stessi. Tutti viviamo in gruppi, anche se hanno forme diverse, e tutti siamo in grado di romperne gli equilibri. In questi momenti però ci si interroga sulle questioni della vita”.
Paula, che è forse il personaggio più complesso, ha un ruolo chiave in quello che accade?
“Non credo che quello che accade nel libro dipenda da lei, anche se la prima lettura può suggerire questo. Come molti intellettuali è autodistruttiva, ha estremi molto accentuati, ma anche passioni molto forti. E’ il personaggio più simile a Petra Delicado, la mia investigatrice”. 
Questo per la sua durezza?
“Petra non è simpatica, è diretta e spesso sgradevole con chi ha davanti, ma è molto ironica. Con il suo vice Firmin mette in atto ogni giorno uno scontro tra i sessi basato sull’ironia, e questo è un omaggio all’amicizia tra uomini e donne, tra persone che hanno culture e opinioni diverse. La contraddizione tra Petra e Firmin mi piace molto. Ho un’idea positiva degli uomini, perché mio padre era molto buono e ho avuto fortuna con i miei compagni. Ho lottato contro la dittatura, e in quel periodo eravamo uomini e donne insieme con lo stesso ideale. Non trovo giusto scaricare tutte le colpe su di loro, vederli sempre come dei maschilisti, degli alcolizzati o altro. Se vogliamo rappresentare la realtà, dobbiamo parlare degli uomini anche in senso positivo”. 
Che rapporto ha Petra con i delinquenti su cui indaga?
“Ha sempre un atteggiamento di pietà. Non li giustifica ma cerca di capirli, e cerca di comprendere le condizioni che li hanno portati verso il crimine. Questo non significa che si risparmi momenti di crudeltà o cinismo: in Nido vuoto usa la sua cultura per spiazzare un delinquente. In questa nostra società essere una persona che non legge e non conosce, è come non avere forza. E su questo Petra ma non si fa problemi morali”. 
Come è considerato il romanzo di genere in Spagna?
“Più o meno come in Italia. A volte mi dicono che mi stanno parlando dei miei romanzi “seri”, come se gli altri, i polizieschi, fossero uno scherzo. Però vedo che il giallo sta cambiando, è sempre più esigente dal punto di vista formale. Il romanzo di genere è umile, non è saggistica e non è poesia, è fatto per raccontare storie e fare in modo che i lettori confrontino la loro vita con ciò che accade nei libri. La prosa è mestiere, riflessione sulla vita, intelligenza e conoscenza. Questo piace molto a me e anche ai lettori, ma il loro sforzo deve essere l’esplorazione del mondo piccolo, quello che gli sta vicino, perché il nostro mondo è fatto di queste cose piccole e delle persone che abbiamo accanto”.


martedì 9 dicembre 2008

Premi al Noir Fest: Mani nude e un eccezionale Frozen River


Erano in cinque a contendersi lo Scerbanenco 2008, cinque titoli scelti da una Giuria Letteraria tra i cento gialli in gara. Alla finale sono arrivati Mani nude di Paola Barbato, vincitrice di quest'ultima edizione, Oro incenso e polvere di Valerio Varesi (grande amico e persona che merita ogni bene, da poco uscito con il suo nuovo Soneri, La casa del comandante), Cinacittà di Tommaso Pincio che ha ottenuto la segnalazione della giuria (grazie ancora per la dedica con piccola opera d'arte), Il corruttore di Ugo Barbara (contenta di averti conosciuto, anche se di sfuggita), e La città perfetta di Angelo Petrella (ciao Angelo e ciao miss Petrella, è sempre piacevole incontrarci).

Il Leone Nero per il miglior film oggi è invece andato a Frozen River, grandissima e coinvolgente storia diretta da Courtney Hurt e sceneggiata da Richard Price, che ha ottenuto anche il mio voto di spettatrice e di cui ho parlato nel post precedente. Un riconoscimento al cinema indipendente e alle storie raccontate e vissute fino in fondo.


lunedì 8 dicembre 2008

Courmayeur Noir in Festival

Tre giorni intensi, temperature sottozero e nevicate senza sosta, ma anche una maratona densa e importante tra scrittori e cinema noir e poliziesco, tra strette di mano, nomi che si trasformano in volti, dediche fatte con passione, che rimangono sulla prima pagina di un bel romanzo. E poi lo stare insieme e il divertimento, tanto.
Ne darò conto un po' alla volta, attraverso le interviste fatte al Noir in Festival di Courmayeur a scrittori come Alicia Giménez Bartlett, Liza Marklund, Sharon Bolton, Richard Price, Victor Gischler. Attraverso ciò che di più significativo è emerso da due tavole rotonde organizzate su temi ugualmente interessanti: la prima, sul "nero femminile", ben coordinata da Loredana Lipperini, che ha riunito le voci delle italiane Elisabetta Bucciarelli, Simona Vinci e Chiara Tozzi, della svedese Liza Marklund, della spagnola Alicia Giménez Bartlett (a cui quest'anno è stato consegnato il Premio Raymond Chandler) e dell'inglese Sharon Bolton, per affrontare temi non solo legati alla scrittura, ma anche agli stereotipi femminili e alla gestione del potere. L'altra tavola rotonda era dedicata al "complotto", una costante dai mille volti, di cui hanno parlato lo scrittore Patrick Fogli, il giornalista Ranieri Polese e lo storico Aldo Giannuli. Spunti su cui riflettere, inevitabilmente.
Il Noir in Festival da sempre è anche cinema, con le anteprime italiane e internazionali, tra cui Frozen River, film inquietante e ottimamente realizzato da Courtney Hunt, giocato su dialoghi minimi e su dettagli capaci di insinuarsi silenziosamente nello spettatore. Un'angoscia ben calibrata, una simpatia istintiva per le protagoniste, il gelo dei paesaggi che entra nell'animo. Basta una parola per tutto questo: bello.


giovedì 4 dicembre 2008

Pulcini


Si chiamano così, "Pulcini". Sono le piccole opere d'arte realizzate da Alberto Casiraghy, editore artigianale dei libri inimitabili che in poche pagine racchiudono l'espressione di una verità o di un sentimento. Curati, in tiratura limitatissima, realizzati con caratteri mobili assieme agli autori e agli artisti. Verrebbe voglia di collezionarli tutti, perché trovandoseli davanti non si sa mai quale scegliere. In vent'anni Alberto Casiraghy con la sua Pulcinoelefante, ha stampato oltre seimila titoli. Quattro pagine in tutto di carta tedesca uso mano, poche parole di un aforisma o di una poesia. Poi una piccola opera d'arte, oppure una foto o un segno grafico, una pietra incisa. Tutto qui, pochi ingredienti per un risultato eccellente. Ex tipografo, Casiraghy ha recuperato i caratteri mobili dalle aziende in dismissione negli anni Settanta, e ha acquistato la stampatrice usata. Ogni librino ha una tiratura che varia dalle 16 alle 30 copie numerate, metà regalate all'autore e metà vendute dall'editore. Il tutto catalogato tre anni fa da Vanni Scheiwiller, editore milanese che ha deciso di fare il catalogo di un altro editore, caso più unico che raro. Gli autori di Pulcinoelefante possono essere perfetti sconosciuti o persone famose. Un migliaio di titoli sono di Alda Merini, da sempre amica di Casiraghy, poi Dario Bellezza, Vivian Lamarque, Franco Loi, Manuel Vazquez Montalban, Bruno Munari, Maria Pace Ottieri, Fernanda Pivano, persino un Maurizio Cattelan del '93. Mario De Biasi, il fotografo, si è trasformato in disegnatore per un libricino con un testo dello stesso Casiraghy. Poi ci sono i classici come Dante Alighieri, Oscar Wilde, Confucio, Gustave Flaubert, Novalis nelle loro espressioni più gustose.
I testi sono sempre verità fulminanti, o indicazioni da adottare per aprire uno spazio ai sentimenti, una riflessione sulle emozioni: "L'indecisione uccide chiunque", il Seneca di "La vera felicità è non aver bisogno della felicità". O anche "Il segreto del genio è vivere da innamorato", massima di un filosofo di Soncino, Giovanni Maina. "Desidero il sole perchè mi piace l'ombra", riflessione di Margherita Russo con preziosi ori di Luigi Mariani. "Bastano gli amanti per fare l'amore?" si chiede Carlo Martinelli, mentre da una foto d'epoca occhieggiano due giovani degli anni Cinquanta.
L'idea nasce da un caso, una frase vista o sentita, un incontro che suggerisce uno spunto, un appassionato che suona il campanello della villetta di Osnago e chiede di realizzare un libro. Il risultato è arte, piacere per gli occhi, momento di bellezza da portarsi a casa, da rileggere, da gustare, da fare proprio.
Merce rara anche per le librerie, ma volendo si trovano qui

giovedì 27 novembre 2008

Cerco marito

maturo che creda nel rapporto di coppia, che
sappia comprenderla ed amarla per tutta la
vita. Tel. 031.267545


Monica Galanti, Matrimoniale, cm 12x16, tempera e collage

lunedì 24 novembre 2008

Psicofarmaci, follie simulate, artiste geniali

Iperpubblicizzati, iperspecializzati, iperconsigliati. Un desiderio di felicità che non conosce status né latitudine, che ha creato un'economia, alimentato un settore farmacologico, inculcato il bisogno di serenità artificiale. Lo piscofarmaco è un acquisto silenzioso che oggi coinvolge quattro milioni di italiani, un fenomeno di massa sottovalutato, che nell'ultimo secolo ha prodotto quasi quattrocento etichette medicinali a livello mondiale, sempre più specializzate e calibrate per disinnescare qualsiasi malessere generato dalle emozioni, dall'ansia, dal dolore, da ogni genere di stato d'animo non controllabile. Un bene di consumo quasi banalizzato, da vendere a prescindere dal reale bisogno: così appare in Psychofarmers (Isbn, 299 pagg., 16.50 euro) quello che dovrebbe essere un prodotto scientifico specialistico ed esclusivo. Lo storico Pietro Adamo e il neuropsichiatra Stefano Benzoni, hanno ricostruito la sua evoluzione negli ultimi cento anni, la sua capacità di ritagliarsi uno spazio nel carnet delle esigenze collettive, hanno scovato i manifesti delle campagne pubblicitarie e le storie dei nomi celebri che ne hanno fatto un uso più o meno controllato, e che alla pillolina della felicità devono la vita o la morte. L'altro piano di lettura di questo libro è invece una sorta di guida al non-utilizzo degli psicofarmaci, attraverso una carrellata di notizie utili, chiare e spesso quasi sconosciute, da leggere in sequenza o facendo zapping tra le pagine, lasciandosi catturare da immagini e titoli.
Eppure, secondo lo psichiatra portoghese José Luís Pio Abreu, autore del geniale Come diventare un malato di mente (Voland, 173 pagg., 13 euro) ognuno di noi ha - in fasi alterne e secondo i propri gusti - il diritto di essere un po’ fobico o paranoico, magari leggermente ossessivo o anche schizoide. Così il medico ha steso un manuale con tutte le indicazioni del caso per immedesimarsi in un disturbo clinico piuttosto che in un altro. La partenza, rigorosa, fa riferimento alle sei classificazioni adottate dalle istituzioni psichiatriche statunitensi, e poi Abreu si lancia in una serie di consigli pratici. Volete misurarvi in un episodio maniacale? Basta prendere antidepressivi in quantità industriale, dormire poco e lavorare molto, passare qualche notte in bianco e fare progetti. Il resto verrà da sé. Per il delirio ossessivo-compulsivo si parte dall'idea di dover essere perfetti, mentre se si ambisce a un disturbo dissociativo occorre iniziare a imitare sistematicamente gli altri, e a questo proposito si può prendere come punto di riferimento uno qualsiasi dei personaggi televisivi o dello spettacolo. Ogni scelta implica un breve tirocinio, ma Abreu garantisce che ognuno di noi può farcela.

Su questi temi, con grande sarcasmo, ha lavorato l'artista Silvia Levenson: il risultato sta in opere come Be Happy.

La musica, per stemperare i pensieri, è questa.


sabato 22 novembre 2008

Tenco e il tango

I suoi testi non hanno età, come si dice delle canzoni che attraversano i decenni senza sentirne il peso. In più, il ritmo sensuale del tango, riesce a renderli ancora più intriganti, più coinvolgenti. Riesce a trasformarli in qualcosa che si insinua sotto pelle, un effetto taumaturgico per i momenti di crisi o di particolare struggimento. Luigi Tenco, suicida la notte del 27 febbraio 1967 dopo l'eliminazione dal Festival di Sanremo, non ha fatto in tempo a raccontarli e viverli quei testi, e ciò che rimane ancora oggi sono le parole pure e quella tristezza di fondo che ha caratterizzato i pochi anni della sua esistenza. La sua fine rimane ancora oggi un mistero, che diventa protagonista di una storia scritta da Carlo Lucarelli e trasformata in uno spettacolo teatrale di Giorgio Ugozzoli. In Tenco a ritmo di tango (Fandango, 60 pagine, 18 euro con cd), un ispettore di polizia viene incaricato di investigare sul viaggio fatto dal cantante a Buenos Aires nel dicembre 1965. Diventa lo spunto per ritrovare una locanda dove ogni sera un piccolo gruppo suona le canzoni di Tenco a ritmo di tango. Un'atmosfera che ridisegna gli accordi, sposta gli accenti delle parole, trova un passo più deciso e grida con più forza, rispetto alle versioni originali, il disprezzo o la disperazione. Dieci canzoni musicalmente riscritte da Alessandro Nidi, e interpretate dalle voci dell'insuperabile Mascia Foschi e di Adolfo Margiotta.

Musica qui e qui, ma anche qui

giovedì 20 novembre 2008

Ecuador fondente da dipendenza

Parte dalle fave grezze e purissime, e si trasforma in una tavoletta sottile, dal gusto amarognolo e intrigante. Spiegare la produzione artigianale e limitata di questo cioccolato è come raccontare una piccola storia. Un percorso che nei suoi passaggi si può racchiudere in un piatto, quello qui sopra, e che procede secondo una lavorazione che in Italia affrontano in pochissimi, sei o sette in tutto. Perché il cioccolato che mangiamo abitualmente, anche il più prestigioso e famoso, quasi sempre viene prodotto a partire dalla pasta di cacao, un semilavorato che prende forma di tavoletta nell'ultima fase. Da Colzani Caffè di Cassago Brianza (non a caso bar dell'anno 2009 del Gambero Rosso) si parte invece dai semi di cacao, che arrivano nel reparto pasticceria e qui affrontano la tostatura, forti di un'esperienza affinata con il caffé, e poi la frantumazione. Un macchinario apposito, che soffia delicatamente su questa materia prima, separa i gusci dalla granella, la quale viene amalgamata con il trenta per cento di zucchero di canna, per ottenere l'equilibrio tra l'amaro pungente ma non troppo aggressivo del cacao Ecuador, e un risultato finale quasi da dipendenza psicologica. Una sapore che ti fa iniziare una tavoletta e ti rende incapace di riavvolgerla nella carta. Che ti richiama dopo pochi passi se hai avuto la forza di chiuderla in frigo dopo averne assaggiato solo un pezzettino. Perché, non dimentichiamolo, il fondente è un genere di conforto che non ha eguali, e la delusione di un gusto privo di spina dorsale è un rischio che in certi momenti non si può correre.
Raccontata nelle poche righe di questo blog, questa storia sembra facile e alla portata di tutti. Ma se così fosse un cioccolato del genere non sarebbe merce così rara, e nei retrobottega delle pasticcerie di tutta Italia arriverebbero quintali di fave di cacao, e non barattoloni di pasta già lavorata, destinata quasi sempre a dare forma a un gusto omologato.

Quanto alla musica, mentre scrivevo ho pensato a questa.

domenica 16 novembre 2008

Dizionario affettivo della lingua italiana

Ognuno ha la sua parola magica, evocativa. La parola che porta da sempre con sé. Quella che mette allegria o nella quale si identifica. Così, quando sugli scaffali delle novità editoriali ho visto questo Dizionario affettivo della lingua italiana, l’ho subito catturato. Quando ho visto che all’interno erano elencate le parole dell’emotività, degli affetti, dell’esprimersi di trecentotrenta scrittori italiani, ho subito capito che – oltre a leggerlo con curiosità, saltando avanti e indietro - finalmente avrei fatto anch’io la stessa cosa.
Devo dire che la trovata di Matteo B. Bianchi (curatore assieme a Giorgio Vasta del volume pubblicato da Fandango, 253 pagg., 10 euro ben spesi), ha un altro grande pregio: quello di far scoprire autori nuovi, attraverso la simpatia e la curiosità suscitate dai termini che hanno scelto per rappresentarli. Nell’insieme, purtroppo, qualcuno scivola nel banale e nell’autocitazione, ma sono casi rari e perdonabili. Le argomentazioni scelte dai protagonisti vanno da una riga a mezza pagina, anche se personalmente trovo che, nella maggior parte dei casi, le più efficaci siano quelle sintetiche e fulminanti, capaci di darti un’immagine o una sensazione immediata. Come Francesca Duranti con la sua “Brevità”: non usare mai due righe quando ne basta una.

La mia parola di sempre è raminga, quel randagismo nobile dei Sepolcri foscoliani il cui suono modulato corrisponde alla dolcezza del suo significato, a un vagare senza meta e senza affanno, ma con la malinconia di fondo che porta nel suo intimo chi teme di non aver costruito abbastanza. Il leggero senso di provvisorietà che riaffiora in chi non ha messo radici profonde nell’anima e nella vita, e non sempre è certo di aver fatto la scelta giusta.

Altra parola: scrivere. Perché lo scrivere corrisponde alla mia vita. Il mio scrivere si è trasformato in lavoro. La lettura di ciò che hanno scritto altri in uno dei piaceri più grandi, in esperienza e in condivisione, in passione continua. I miei amici, quasi tutti, sono scrittori e giornalisti. La cottimizzazione della mia scrittura che cerca di raccontare le vite, gli errori, i drammi e i desideri di persone che loro malgrado escono dall’anonimato, ogni mese viene rinchiusa in una busta paga. Quando sono nervosa penso solo che odio scrivere. Non penso a cambiare, scappare, allontanarmi, penso solo a come smettere di scrivere, a bloccare le mie dita che da anni scivolano sulla tastiera.

Ultima parola: vediamo. Anzi, “poi vediamo”. E’ la mia via di fuga da sempre, la premessa al non decidere subito o mai, al non pensare, al non fare non dire non muoversi non esprimersi. E’ l’allontanamento facile. Un’essenza di libertà a portata di mano, senza dover spiegare.

Il tutto sulle note di Ligabue

sabato 15 novembre 2008

Joseph Roth, La tela di ragno

Mi rendo conto che forse è un passaggio un po' lungo per un post, ma penso che questa pagina di Joseph Roth sia uno degli affreschi più belli e corali della letteratura europea. Da leggere con una musica altrettanto avvolgente in sottofondo.
Antonin Dvorak, sinfonia Dal nuovo mondo

"Il mattino si annunciò grigio. Pioveva. Theodor aspettò la sua compagnia alla stazione. Alle otto doveva essere schierata in città. Era domenica. La città sembrava sonnolenta. Pioveva.
Alle nove gli operai manifestarono nel viale Unter den Linden. I gruppi della gioventù nazionalista a Charlottenburg. Tra un posto e l'altro vi erano molte strade, case, poliziotti. Ma la città era in attesa di uno scontro.
Alle nove pioveva ancora. Gli operai avanzavano nella pioggia grigia. Grigi come la pioggia, e come la pioggia senza fine. Venivano da quartieri grigi come la pioggia dal cielo grigio. Erano una pioggia d'autunno. Incessante, inesorabile, sommessa. Diffondevano malinconia. Venivano avanti i fornai coi volti esangui come la pasta del pane, senza muscoli e senza forza; quelli dei torni, dalle mani indurite e dalle spalle sbilenche; i soffiatori del vetro, che non avrebbero oltrepassato i trent'anni per quella polvere preziosa, mortale e scintillante che si ficcava nei loro polmoni. Venivano avanti i fabbricanti di spazzole dalle orbite incavate per la polvere di setole e i peli nei pori della pelle. Venivano avanti giovani operaie segnate dalla fatica, con movimenti svelti e facce consunte. Venivano avanti i falegnami. Sapevano di legno e di trucioli. E i giganteschi imballatori, alti e imponenti come armadi di quercia. Venivano avanti gli operai delle fabbriche di birra, pestando pesanti il terreno come grandi tronchi d'albero che avessero imparato a camminare; venivano avanti gli incisori, la polvere sottile del metallo nelle pieghe dei loro visi; i compositori dei giornali che facevano la notte, che per dieci anni e più non avevano passato nel loro letto una sola notte; hanno occhi arrossati e guance pallide e non conoscono la luce del giorno. Vengono avanti i lastricatori, calpestando la strada che loro stessi hanno costruito, eppure estranei ad essa e storditi dal suo splendore, dalla sua ampiezza, dalla sua signorilità; li seguono motoristi e ferrovieri. Nella loro testa treni neri continuano a correre, segnali a cambiare di colore, locomotive a ululare, campanelle di bronzo a suonare.
(...) Il corteo dei lavoratori canta l'Internazionale. Cantano stonati, con gole riarse. Cantano stonati ma con forza commovente. Canta una forza che piange, una violenza rotta dai singhiozzi. (...) Due forze si stanno affrontando, la massa di coloro che hanno il potere e quella di coloro che non l'hanno, le catene della polizia sono spezzate, la fame avanza contro la sazietà (...)
Ma poi, come quello di una bestia ferita, si alza il lamento di un clacson, e da lontano arriva lo scampanellio disperato dei tram, fischi laceranti, trombe che piangono come bambini. Un cane calpestato ulula con voce umana, divenuto umano nell'ora della sua morte miseranda; c'è uno strepitare di catene e sbarre che chiudono porte, un altro spero echeggia".

Joseph Roth, La tela di ragno (1923). Traduzione di Anna Rosa Azzone Zweifel (in Romanzi brevi, Adelphi, 1983) .

venerdì 14 novembre 2008

Omar di Monopoli, Uomini e cani

Personaggi ben costruiti, che si lanciano con forza fuori da qualsiasi immutabile vivere quotidiano, con dialoghi credibili e belli. Potrei trovare altri aggettivi, ma mi piace definirli semplicemente belli questi dialoghi diretti di Omar di Monopoli in Uomini e cani (Isbn, 234 pagg. 13 euro). Frasi che si rincorrono prive di virgolettati, essenziali fino all'osso. Pensieri puri e istantanei, specchio di protagonisti dalle esistenze scheletriche. Ho trovato, in queste pagine dal ritmo western ma dall'anima nera, lo sfogo di una giustizia privata che, per quanto ci abbiano insegnato che è sempre sbagliata, a volte riscatta tutti quanti. Ho trovato storie che non iniziano e non finiscono perché a volte la vita è così, si trascina inerte senza chiudersi, attaccata all'unico lembo che ci rimane o che si crede di avere. E poi quella marea scura inarrestabile di fondo che è il sale di molte scritture, anche della sua, mentre pesca le atmosfere di un sud Italia cupo, forzatamente privo di debolezze e rassegnato a sopravvivere.

In sottofondo una musica bella e inquietante, come questa.

mercoledì 5 novembre 2008

lunedì 3 novembre 2008

Perissinotto, La società dell'indagine

Quali meccanismi hanno determinato il successo del giallo? Perché il poliziesco ci piace più di altri generi nonostante l'abbondanza di delitti reali? Difficile dare una risposta esaustiva ad una domanda ormai ricorrente, soprattutto da quando il mercato editoriale, ma anche cinematografico e televisivo si è dovuto piegare alle richieste del pubblico. La stessa domanda ce la siamo posta più volte nelle nostre riflessioni, pubbliche o private. Me la sono posta io nel confronto quotidiano con una cronaca che ormai è sfiancante da ogni punto di vista, ma che non mi ha tolto il gusto per i toni crudi della narrazione, per il nero, per la celebrazione di personaggi distruttivi. A dare una risposta a questi meccanismi mentali, che non sono solo un esercizio di stile, ci prova Alessandro Perissinotto con un breve saggio La società dell'indagine, pubblicato da Bompiani (105 pagg., 9 euro). Una lettura gradevole, come del resto i suoi romanzi, perché Perissinotto è uno che sa osservare e spiegare, che riduce ai minimi termini e riporta tutto agli schemi più essenziali, quelli che servono a comprendere il come e il perché. La massima di fondo è di una verità fulminante, per quanto decisamente ruvida: "Il poliziesco è soltanto la continua ricerca della verità. Noi che viviamo nella società della menzogna non possiamo che amarlo". Basterebbe questo a chiudere il discorso, poche parole inattaccabili.
Parlarne con lui serve però ad andare oltre, ad abbracciare la dimensione narrativa vera e propria del genere, e a valorizzarla. "Il fatto che i gialli si vendessero in stazione ha fatto a lungo confondere il contenitore con il contenuto - dice - ma una cosa è il confezionamento, e quindi il processo commerciale, un’altra cosa è il prodotto. Non a caso in questi ultimi anni gli intellettuali hanno riscoperto Simenon come un grande della letteratura". Il genere, che piaccia o no, ha svolto un ruolo sociale molto forte, perché la letteratura poliziesca ci parla di qualcosa che spesso i giornali non raccontano. Così il suo successo diventa trasversale, abbraccia ogni ceto sociale. "La gente ama il poliziesco perché racconta paure, tensioni e trame nascoste - prosegue Perissinotto - I giallisti non creano la psicosi del complotto, ma rendono praticabili delle piste che diversamente non lo sono. Suggeriscono che esistono realtà che vale la pena di conoscere in profondità".
Questa la premessa. C'è poi l'aspetto consolatorio del poliziesco, un meccanismo essenziale, quasi di sopravvivenza, in una società in cui "la morte è presenza quotidiana, eppure distante. La rappresentazione narrativa della morte, nel suo essere fittizia, fornisce un conforto: si muore sempre per qualcosa. In realtà sappiamo bene che si muore anche per niente, per una caduta o un incidente, per una banalità. La consolazione fornita dal poliziesco è proprio questa: non ti preoccupare, si muore sempre per qualcosa. Se controlliamo la causa, controlliamo anche la morte, perché nel poliziesco arriva sempre per un motivo preciso e riconoscibile. Se non vai in quel quartiere pericoloso sarai al sicuro, se non ti mischierai con certe situazioni non ti accadrà nulla. Il poliziesco letterario tuttavia non sempre è consolatorio, o non lo è abbastanza, come hanno dimostrato Gadda o Vàzquez Montalban, nei cui romanzi il colpevole sfugge. Così il bisogno di un poliziesco consolatorio ha trovato spazio in televisione, dove è diventato di gruppo: la squadra, la scuola di polizia, il corpo militare. Questa diventa la consolazione, il contenitore sociale, quello che ti invita a prendere la realtà così com’è e a viverla, in un paese magnifico, dove c’è qualcuno che interviene e risolve. Dove, non a caso, tutti i corpi di polizia hanno trovato spazio in una serie tv".

In chiusura, ecco la musica