sabato 24 ottobre 2009

Asa Larsson: il giallo, i preti e i cani


"Penso che ci sia una preoccupazione sociale molto forte nel giallo svedese: siamo stati abituati a delegare sempre allo Stato i nostri problemi, e ora che questo sistema sta crollando ci poniamo tutti le stesse domande. In questo momento il romanzo di genere diventa un momento di riflessione molto coinvolgente". Parte da un dato di fondo che subito inquadra lo spessore della narrativa del Nord Europa in generale, e nel suo paese in particolare, ma poi leggendo i suoi primi due libri pubblicati in Italia, salta all'occhio un altro elemento: quanto facilmente muoiono i preti, pagina dopo pagina. "Ammetto che non li amo, e mi divertivo a farli morire. Poi però ho smesso perché mio zio mi ha telefonato apposta per dirmi che stavo esagerando. Così sono passata ai cani". Detto così, senza conoscere la sua simpatia e il suo umorismo, potrebbe sembrare un atto di crudeltà, eppure Åsa Larsson - quarantenne ex avvocato fiscalista svedese, ma da tre anni scrittrice di gialli professionista - i cani li ama incondizionatamente, "per la loro capacità di restituirti bontà anche se hanno subito violenza, e perché riescono a farti dimenticare i momenti di tristezza". In Italia ha pubblicato tre romanzi, tutti per Marsilio: Tempesta solare nel 2005 (Premio dell’Accademia Svedese come miglior giallo d’esordio), Il sangue versato nel 2007 (Premio dell’Accademia di Svezia per il miglior giallo) e Sentiero nero quest'anno.

Quanto e come la scrittura ti ha cambiato la vita?
Completamente. Non faccio più l'avvocato, e mantengo la mia famiglia raccontando delle storie. E' anche cambiato il mio rapporto con la vita perché sono diventata meno legata alle cose materiali. Non so come sono gli avvocati in Italia, ma in Svezia sono molto attaccati ai soldi, ai vestiti costosi e alla vita mondana, e sono contenta di essermi allontanata da tutto questo. Ho iniziato a scrivere perché non ce la facevo più a fare l'avvocato: dovevo cambiare, fare viaggi, trovare qualcosa di diverso. Così mi sono iscritta a un corso di scrittura, che mi ha insegnato metodo e disciplina. Essermi presa il tempo di scrivere il mio primo romanzo mi ha resa molto fiera, perché sono riuscita a prendere un sogno e metterlo su carta.

Rebecka Martinsson e Annamaria Mella, le tue protagoniste, sono due donne antitetiche. Qual è il tuo vero modello?
Sono complementari più che antitetiche. Rebecka è un avvocato giovane che affronta una sua crisi esistenziale, a partire dal suo rapporto con i luoghi a cui appartiene. E' un personaggio forte ma non invadente, perché la sua presenta è importante ma sempre in punta di piedi. Non sono io, ma è la sintesi di molte donne che conosco: noi del Nord della Svezia abbiamo la fama di non saperci comportare, di parlare sempre a voce alta e non sapere fare i brindisi. Per questo penso di poter descrivere la sensazione di Rebecka quando lascia il suo paese e va a Stoccolma, ma anche quando torna a casa e fa fatica a ritrovarsi. Annamaria è invece un ispettore di polizia molto diversa da Rebecka, più aperta e forse più felice. Ha raggiunto una sua stabilità con i figli e il marito, e anche in questo posso riconoscere un po' di me stessa. Le poliziotte svedesi hanno sempre problemi di rapporti con gli uomini, ma Annamaria in questo si distingue. Grazie a lei sono riuscita anche a costruire figure maschili simpatiche, in alcuni casi. In generale penso che noi donne siamo molto determinate nel cercare di raggiungere i risultati, ma quello di cui abbiamo sempre bisogno è di essere amate, riconosciute e viste. Nei miei personaggi metto esattamente questo".

Come si sente oggi una scrittrice che si chiama Larsson?
Direi che sono molto fortunata ad essere sullo stesso scaffale di Stieg Larsson....


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