mercoledì 21 ottobre 2009

Massimo Carlotto, L'amore del bandito

(foto di Marina Magri, La passione per il delitto, 11 ottobre 2009)

Un fatto vero scatena il ritorno dell'Alligatore, il protagonista dei noir di Massimo Carlotto, che da qualche tempo aveva lasciato spazio a sperimentazioni di scrittura a quattro mani - con Francesco Abate e Marco Videtta - o a progetti come Perdas de fogu con Mama Sabot. Il nuovo L'amore del bandito (Edizioni e/o, pagg. 191, 15 euro) si apre con il testo di una interrogazione parlamentare presentata nel giugno 2004 al Ministro della Giustizia, in merito alla sparizione, avvenuta il 17 marzo, di 44 chili di droga dall'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Padova, conservati in un laboratorio a cui si accede da una porta blindata con pass e codice dall'allarme. E' l'inizio di una storia di criminalità organizzata, come quasi sempre avviene nei noir di Carlotto, che si svela per tappe successive. Ma questa volta c'è anche altro.

Si può dire che il tema principale in L'amore del bandito è il passato che ritorna?
E' un classico del poliziesco, ma il romanzo americano ci ha imposto personaggi seriali sempre uguali, che non cambiano e non invecchiano mai. Questo in Europa non funziona. Questo libro parte da un delitto facile, perché mi sono stancato degli eroi di carta che non fanno mai errori. Chi vive in ambienti estremi sbaglia e paga cari i suoi errori. Sono partito da questa riflessione, per costruire intrecci e destini in cui il passato dei protagonisti torna. Ci sono altri due temi forti: l'amore e la ribellione nei confronti dei meccanismi criminali. Nel primo caso mi sono divertito a intrecciare una storia in cui tutti scelgono per amore, perché penso che nella vita succeda anche questo. L'amore non è solo un sentimento dei buoni, ci sono personaggi pessimi ma capaci di amare. Questa riflessione mi ha portato a scrivere con un altro taglio, mantenendo però la velocità dei ritmi. L'elemento della ribellione nasce dalla considerazione, sempre più evidente, che la criminalità organizzata sta invadendo tutti gli aspetti della nostra vita. Con Francesco Abate, in Mi fido di te, avevamo affrontato uno dei suoi aspetti legato alla gestione del mercato alimentare, ma ora siamo andati oltre. Da cittadino, mi chiedo perché la criminalità deve limitare la mia vita. Ci stiamo abituando ad accettare qualcosa che non è giusto: per questo ho voluto inserire un elemento di ribellione.

Quale tra le tante criminalità è raccontata in questo romanzo?
I nuovi modelli di infiltrazione mafiosa. Quando le culture criminali si inseriscono in un territorio, imparano a starci. Smettono di farsi sentire. Gli albanesi sono scomparsi dai giornali, non si parla più di loro perché ora sono i primi a voler evitare gli scontri e i problemi che potrebbero attirare su di loro attenzioni negative. Da anni non escono più articoli sulla mafia cinese, così come non si parla della mafia russa che sta comprando Liguria, Toscana e Marche. Abbiamo un serio problema di infiltrazione, e un altrettanto serio problema di percezione attraverso l'informazione che ci viene data. Siamo arrivati a chiederci se vale di più la giustizia celebrata nelle aule di Tribunale o un plastico di Bruno Vespa per stabilire un dato di colpevolezza, mentre ci sfugge tutto quello che sta sullo sfondo.

Quanta verità e quanta verosimiglianza ci sono in queste pagine?
Parto da una storia realmente accaduta, la scomparsa di quei 44 chili di droga: i ladri potevano entrare nel laboratorio e avevano le chiavi della cassaforte. Due anni dopo, in risposta all'interrogazione parlamentare, si scopre che i chili erano 66. E' bastato questo a stimolarmi la curiosità. La storia assomiglia alla verità di quanto accaduto, ma alla fine lascio al lettore la scelta di poter leggere nel modo che preferisce. E' come se facessi un patto con lui: ti racconto una storia, ma ti do anche la cronaca, lasciandoti la libertà di scegliere e di poter approfondire.



3 commenti:

AngoloNero ha detto...

Bello il romanzo, Paola, a me è piaciuto tanto :)

SenzaUnaDestinazione ha detto...

Si....

caterina ha detto...

Carlotto insegna a noi giornalisti l'importanza di difendere il proprio diritto (inteso come responsabilità civile e morale nei confronti di noi stessi e prima ancora dei nostri figli). Carlotto risveglia il bisogno di un giornalismo d'inchiesta alla portata di tutti. Bravo