Quali meccanismi hanno determinato il successo del giallo? Perché il poliziesco ci piace più di altri generi nonostante l'abbondanza di delitti reali? Difficile dare una risposta esaustiva ad una domanda ormai ricorrente, soprattutto da quando il mercato editoriale, ma anche cinematografico e televisivo si è dovuto piegare alle richieste del pubblico. La stessa domanda ce la siamo posta più volte nelle nostre riflessioni, pubbliche o private. Me la sono posta io nel confronto quotidiano con una cronaca che ormai è sfiancante da ogni punto di vista, ma che non mi ha tolto il gusto per i toni crudi della narrazione, per il nero, per la celebrazione di personaggi distruttivi. A dare una risposta a questi meccanismi mentali, che non sono solo un esercizio di stile, ci prova Alessandro Perissinotto con un breve saggio La società dell'indagine, pubblicato da Bompiani (105 pagg., 9 euro). Una lettura gradevole, come del resto i suoi romanzi, perché Perissinotto è uno che sa osservare e spiegare, che riduce ai minimi termini e riporta tutto agli schemi più essenziali, quelli che servono a comprendere il come e il perché. La massima di fondo è di una verità fulminante, per quanto decisamente ruvida: "Il poliziesco è soltanto la continua ricerca della verità. Noi che viviamo nella società della menzogna non possiamo che amarlo". Basterebbe questo a chiudere il discorso, poche parole inattaccabili.
Parlarne con lui serve però ad andare oltre, ad abbracciare la dimensione narrativa vera e propria del genere, e a valorizzarla. "Il fatto che i gialli si vendessero in stazione ha fatto a lungo confondere il contenitore con il contenuto - dice - ma una cosa è il confezionamento, e quindi il processo commerciale, un’altra cosa è il prodotto. Non a caso in questi ultimi anni gli intellettuali hanno riscoperto Simenon come un grande della letteratura". Il genere, che piaccia o no, ha svolto un ruolo sociale molto forte, perché la letteratura poliziesca ci parla di qualcosa che spesso i giornali non raccontano. Così il suo successo diventa trasversale, abbraccia ogni ceto sociale. "La gente ama il poliziesco perché racconta paure, tensioni e trame nascoste - prosegue Perissinotto - I giallisti non creano la psicosi del complotto, ma rendono praticabili delle piste che diversamente non lo sono. Suggeriscono che esistono realtà che vale la pena di conoscere in profondità".
Questa la premessa. C'è poi l'aspetto consolatorio del poliziesco, un meccanismo essenziale, quasi di sopravvivenza, in una società in cui "la morte è presenza quotidiana, eppure distante. La rappresentazione narrativa della morte, nel suo essere fittizia, fornisce un conforto: si muore sempre per qualcosa. In realtà sappiamo bene che si muore anche per niente, per una caduta o un incidente, per una banalità. La consolazione fornita dal poliziesco è proprio questa: non ti preoccupare, si muore sempre per qualcosa. Se controlliamo la causa, controlliamo anche la morte, perché nel poliziesco arriva sempre per un motivo preciso e riconoscibile. Se non vai in quel quartiere pericoloso sarai al sicuro, se non ti mischierai con certe situazioni non ti accadrà nulla. Il poliziesco letterario tuttavia non sempre è consolatorio, o non lo è abbastanza, come hanno dimostrato Gadda o Vàzquez Montalban, nei cui romanzi il colpevole sfugge. Così il bisogno di un poliziesco consolatorio ha trovato spazio in televisione, dove è diventato di gruppo: la squadra, la scuola di polizia, il corpo militare. Questa diventa la consolazione, il contenitore sociale, quello che ti invita a prendere la realtà così com’è e a viverla, in un paese magnifico, dove c’è qualcuno che interviene e risolve. Dove, non a caso, tutti i corpi di polizia hanno trovato spazio in una serie tv".