Ho anche diretto una rivista. E' tra le cose che ho fatto, in passato. Per oltre due anni ho scelto e costruito i contenuti di Brianze, bimestrale di cultura del territorio che rappresenta un caso più unico che raro: volontari che si avvicendano, o che rimangono solidamente fedeli, per realizzare l'unica testata editoriale locale che parla di cultura in modo globale, equidistante, curioso e comunque professionale, nel suo risultato finale. Poi gli impegni di altro genere hanno avuto la meglio, e ho dovuto passare la mano.
Intanto Brianze ha festeggiato il suo numero 50: non male come risultato in un Paese e in un momento in cui i progetti editoriali che nascono con ben altri criteri di solidità, franano o stanno in piedi con il fiato sospeso.
Per questo numero così importante, mi hanno chiesto di raccontare cosa sono stati per me quei due anni. Ecco qui.
Un’apertura all’attualità, all’arte e alle arti, ad un pubblico di lettori giovani interessati a seguire e conoscere i temi della cultura locale, intesa come sinergica e non come esclusività di un territorio chiuso. Interessi che percepivo come privi di un punto di riferimento mediatico, che fosse una rivista o un luogo che parlasse rivolgendosi anche a loro. Il tutto senza perdere il senso di indipendenza, e senza dimenticare chi le era stato fedele fin dall’inizio. In altre parole una rivista che fosse voce e specchio di un cambio generazionale che ha iniziato a prendere corpo – sia in termini di temi che di proposte di collaborazione – nei quattro anni, dal 2004 al 2007, in cui mi è stata offerta la possibilità di organizzare i contenuti di Brianze, di dargli un’impronta e definire un indirizzo che, per quanto fosse il risultato di un ragionamento collettivo, aveva per forza di cose il punto di vista di chi ne tira le fila. Come sempre ho fatto, anche nell’organizzazione di altre iniziative, ho sempre inteso la cultura del territorio come qualcosa che fosse l’uguale e contrario della cultura sul territorio e per il territorio. Qualcosa che suscitasse la curiosità e l’interesse con un approccio leggero, non impegnativo e capace di correre lungo una superficie densa però di radici, di spunti, di corteggiamenti. Qualcosa che passasse attraverso una gradevolezza estetica oltre che contenutistica, capace di lasciare un ricordo attraente, la voglia di tornare a leggere e a guardare. Di essere curiosi, e quindi motore di grandi energie. Così spazio alla natura, da raccontare e da racchiudere in immagini suggestive e in grado di mostrare quanto di bello ancora si salva, i libri, la musica e l’arte – espressione e concretizzazione di messaggi, emergenze, paure e voglie che nascono qui, in questo territorio – la storia raccontata da chi l’ha saputa amare molto, le economie che sono rimaste indipendenti, che non si sono fatte coinvolgere dal tutto e subito. Per quattro anni Brianze è stato questo, ha cambiato l’immagine, le voci e le firme, ha raccontato una storia un po’ diversa rispetto alla sua genesi, ha rispecchiato un momento storico della rivista, destinato ad evolvere ancora, ad essere diverso dal prima e dal dopo, come qualsiasi cosa che decide di non legarsi a una definizione preconfezionata.