mercoledì 17 marzo 2010

Johan Harstad, Che ne è stato di te Buzz Aldrin?

Sullo sfondo Nuar, opera di Monica Galanti

Uno dei vantaggi di essere un ottimo secondo, nelle cose della vita, è che si può fare tutto quello che fa il primo, ma quasi sempre con minori responsabilità. Vale per il lavoro, per i posti di responsabilità, per tantissime situazioni. Non per l'amore, certo, dove essere secondi ha solo svantaggi, ma secondo Johan Harstad, norvegese e autore di Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? (Iperborea, 464 pagg, 16.50 euro) è l'unico settore della vita dove il secondo posto può risultare sconveniente. Non tutti - sostiene Harstad attraverso il suo protagonista, Mattias - vogliono essere il numero uno: si può scegliere una vita tranquilla da giardiniere, pochi e affidabili amici, e una fidanzata che chiude il cerchio delle garanzie esistenziali. Non a caso il suo idolo è l’astronauta Edwin "Buzz" Aldrin, il secondo uomo a scendere sulla luna dopo Neil Armstrong, schivo ai riflettori e felice di essere secondo, salvo poi costruirsi una carriera fatta di spot pubblicitari, presenze a conferenze e autografi a pagamento. Un equilibrio perfetto, finché il vivaio in cui lavora Mattias fallisce e la sua fidanzata lo lascia. Da qui per lui è una discesa in caduta libera, per poi risalire verso le nuove responsabilità in cui si lascia coinvolgere e l'apertura a una esistenza tutta da riscrivere.

Qual è la differenza tra la scelta di stare lontano dai riflettori e l'incapacità di affrontare le situazioni? 
Se vuoi stare su un palcoscenico e non sei in grado di farlo, il sentimento più forte è di grande tristezza, ma se è una scelta, ti porta verso un senso di leggerezza, ti toglie un peso dalle spalle. La scelta di non apparire comporta la capacità di contare solo su se stessi: spesso nella vita ci si basa sulle gratificazioni che ci arrivano dalle altre persone, ma se si è nell'ombra esistono solo le proprie forze. Devi essere sicuro di te stesso, indipendente dal giudizio degli altri. Io, ad esempio, non sono abbastanza forte nella mia scrittura da non aver bisogno le giudizio degli altri, e non scrivo solo per me stesso. Invece Mattias, il protagonista, non sceglie di essere secondo per eroismo, ma per necessità, per non dover dipendere sempre dagli altri. 

Dove tracci la linea di confine tra difficoltà esistenziale e disagio mentale?
E' una linea sottile: in un certo senso siamo tutti borderline, tutti folli. Forse è solo una questione di quanto siamo capaci di nascondere, Nel romanzo non si è mai certi se Mattias soffra di una malattia mentale, c'è sempre una sfumatura che fa la differenza. Dal punto di vista psichiatrico l'ho costruito con una forma di disagio mentale così diffuso che nessuno si fa curare. Nel prossimo lavoro mi piacerebbe entrare nella testa di una persona che soffre di schizofrenia. Mi è rimasto il desiderio di andare a fondo di questi temi, capire la relazione che si instaura tra una persona sana e una malata di mente. E' un tema che in questo momento mi interessa molto, e che voglio affrontare ora, perché magari più avanti avrò altri interessi.

La musica abbonda in questo libro: serve a scandire il ritmo, a raccontare una storia parallela o ad approfondire quella principale? 
Principalmente per dare il ritmo. Ne ascolto molta quando scrivo, ma quella che c'è nel libro non è la mia musica ideale: questa ma non la esibisco e non ne vado fiero.... Per trovare il clima di una scena dolorosa e potente, mi sono trovato ad ascoltare musica tecno russa, che ha portato il mio immaginario nei sudici bar russi, con la gente più misera. Per il romanzo ho cercato la musica che mi sembrava perfetta per chi soffre di malattia mentale, ed è diventata la colonna sonora della storia di Mattias. 

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