giovedì 31 dicembre 2009

Quest'anno...

Emiliano Riva
Il momento perfetto
Con ori di Luigi Mariani
Edizioni Pulcinoelefante
Stampato a mano in 19 copie

"Non riuscivo a capire
se era davvero il momento perfetto
o la finzione che volevo che fosse".

Quest'anno sono stata letta, sopportata, criticata, citata, apprezzata e consigliata da 24.783 lettori, che hanno curiosato tra 41.348 pagine. Numeri che mi stupiscono, ma che mi danno anche molta soddisfazione. A chiunque passi da questo piccolo blog, affezionato lettore o navigatore casuale, auguro di potersi migliorare con nuove letture, di trovare momenti di tranquillità da passare con un libro, di poter riflettere molto su ciò che appassiona, e ancora di più di riuscire a pensare e capire libero da ogni condizionamento. Agli amici scrittori auguro mesi di ottimi spunti, di lavoro appassionante, di incontri divertenti con il loro pubblico, di nuove copertine con il loro nome distribuite nelle librerie di tutta Italia, e sugli scaffali di tanti lettori. Infine un augurio anche agli editori: fare ottime scelte e arricchire con preziose scritture i loro cataloghi, che un po' sono anche di tutti noi lettori.

Anna e Giorgio della Libreria di via Volta di Erba ha voluto chiudere questo anno con l'elenco dei libri da loro consigliati settimana dopo settimana, chiedendo quel è il nostro libro dell'anno. Ecco la mia risposta:
"Sicuramente Elisabetta Bucciarelli con Io ti perdono, non solo per il libro in sé, che tra gli italiani è stata la migliore lettura, ma anche per l'affetto che ho verso questo libro. Alla lista aggiungo La maledetta di Marc Pastor, noir fortissimo che mi ha molto appassionata, assieme alla riscoperta di tutto Hugues Pagan. Infine un saggio: Nude e crudi. Femminile e maschile nell'Italia di oggi, dell'antropologa Silvia Puccini: un bel viaggio nel confronto tra i generi e le chiavi di lettura mediatiche".

Per tutti noi, che siamo vincolati a conteggi e calendari, domani inizia qualcosa di nuovo. Non basterà però a interrompere o cambiare il flusso dei nostri desideri, dei progetti, dei ritmi, dei bisogni che rincorriamo e delle paure che ci bloccano.


sabato 26 dicembre 2009

La mostra degli asini


LA MOSTRA DEGLI ASINI
Libreria La Strada, via Roma 2, Cantù (Co)
Fino al 30 gennaio, da martedì a sabato
dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19

In mostra le opere di 165 artisti che si sono divertiti a disegnare, scolpire, fotografare, graffiare, dipingere, scarabocchiare qualcosa che centrasse con l’asino. La sua figura, la sua trasfigurazione o allegoria, l'immagine evocata e i suoi simboli.
Organizzata in collaborazione con il Laboratorio Artigianale La Cornice di Cantù, la Mostra degli Asini è curata da Tommaso Falzone, Giampaolo Mascheroni e Lucia Falzone.

Gli artisti:
Enrico Figerio, Massimo Ballabio, Alvaro Molteni, Luca Moscatelli, Giulia Motta, Beni Chu, Mariangela Ballerini, Alex De Simoni, Mauro Ceppi, OP., Stefano Misesti, Giancarlo Berlusconi, Icio Borghi, Guido Scarabottolo, Claudio Corti, Anna Finetti, Valter Bacciocchi, Diego Cinquegrana, Semadar Aloiv, Angelo Alessandrini, Angelo Bartesaghi, Clara Molinari/Emma Verga, Marco De Marco, Alessandro Di Pietro, Marco Biagini, Giovanni Colombo, Sofia Crippa, Cecilia Mentasti, Luigi Radice, Ale+Ale, Gaetano Lamonaca, Alessandra Pozzan, Cristina Faverio, Giorgio Biffi, Anna Mauceri, Kazumi Kurihara, Monica Galanti, Stefano Marzorati, Domizia Tosatto, M.Amalia Cangiano, Maurizio Radice, Mattia Vago, Laura Cassina, Rosetta Berardi, Mari Jana Pervan, Riccardo Zanotti, Yun-Yen T Sui, Silvia Negrini, Pietro Ferri, Angela Messilani, Angela Paggi, Daniela Napolitano, Sonia Cattaneo, Anastasia Zavoli, Clara Gargano, Ponias, Franco Pagano, Chiara Spataro, Giancarlo Pozzi, Chiara Falzone, Arnaldo Sanna, Francesca Galimberti, Chiara Giussani, Fausta Fano, Mirko Asnaghi, Giuseppe Cordiano, Elena Mambretti, Giorgio Bachir, Luca Simeoli, Mario Gatto, Antonietta Rampoldi, Duilio Lopez, Alfredo Taroni, Diego Prodi, Tommaso Nava, Pino Lia, Alberto Casiraghy, Peppo Peduzzi, Daniel Dufour, Viola Cappelletti, Sonia Valota, Anna Pasinato, Santino Mascheroni, Dorella Fallanca, Ester Castelnuovo, Battista Luraschi, Veronica Zavoli, Reginella Grassi, Yari Miele, Nina Dubois, Yoko Miura, Pietro Testori, Laura Toso, Lucia Pescador, Emilio Alberti, Fernando Pignatiello, Barbara Mauceri, Mina Chen, Giovanni Smeraldi, Valerio Gaeti, Mauro Calvi, Marco Bellotti, Bettina Colombo, Walter Mutton, Marco Cattaneo, Asami Takahashi, Andrea Verga, Walter Castelnuovo, Paolo Maione, wORK iN rEGRESS dESIGN cHIASSO – cH, Laura Marzorati, Marco Camera, Enrico Porro, Fabio Salice, Filippo Borella, Eli Colombo, Rossella Battaglia, Celina Spelta, Fabio Sironi, Aurelio Porro, Claudio Caimi, Sonia Guazzoni, Alessandro Calderoni, Garth Kennedy, Niccolò Mascheroni, Walter Francone, Carlo Malandra, Edizioni Pulcinoelefante, Eleonora Pozzi, Alberto Rebori, Sylvia Dabbah.

La cartolina di invito


venerdì 25 dicembre 2009

25 dicembre 2009: i libri regalati


Come ogni anno, ecco l'elenco dei libri regalati. Un lista nutrita: qualcuno ha ricevuto forniture che lo terranno impegnato a lungo. Titoli scelti negli ultimi mesi e accumulati man mano, in attesa di questo giorno.
L'opera è di Yari Miele, YM02-03, stampa fotografica su alluminio, 40x60 cm, 2003.

PER CHI LEGGE SCIENZE VARIE comprese FILOSOFIA, SOCIOLOGIA e PSICOLOGIA
  • Alan Weisman, Il mondo senza di noi (Einaudi)
  • Charles Laird Calia, Un anno passato a guardare le stelle. Viaggio di un astronomo dilettante attraverso le stagioni del cielo (Ponte alle Grazie)
  • Dalai Lama, Nuove immagini dell’universo. Dialoghi con fisici e cosmologi (Raffaello Cortina)
  • Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale (Raffaello Cortina)
  • Giangiacomo Gandolfi e Stefano Sandrelli (a cura), Piccolo atlante celeste. Racconti di astronomia (Einaudi)
  • Jean Bolen, Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia al femminile (Astrolabio Ubaldini)
  • John Brockman, Non è vero ma ci credo. Intuizioni non provate, future verità (Il Saggiatore)
  • Julia Kristeva, La testa senza il corpo. Il viso e l’invisibile nell’immaginario dell’Occidente (Donzelli)
  • Leonard Mlodinow, La passeggiata dell’ubriaco. Le leggi scientifiche del caos (Rizzoli)
  • Valentina Crepax, Uomini. Istruzioni per l’uso (Calypso)
PER CHI E' APPASSIONATO DI VIAGGIO, AVVENTURA e MONTAGNA
  • aa.vv., Sul tetto del mondo. La spaventosa maestosità della montagna, il trionfo e la tragedia di chi l’ha conosciuta e l’ha sfidata (Newton Compton editori)
  • Andrew Darby, Guerra alle balene, Longanesi
  • David Le Breton, Il mondo a piedi. Elogio della marcia (Fetrinelli)
  • Erri De Luca, Sulla traccia di Nives (Mondadori)
  • Filippo Tuena, Ultimo parallelo (Rizzoli)
  • Fritz Bechtold, Al Nanga Parbat (Tararà)
  • Jorn Riel, Safari artico (Iperborea)
  • Kurt Diemberger, Danzare sulla corda. Storie della mia vita (Corbaccio)
  • Luis Sepulveda, Patagonia express (Guanda)
  • Marco Albino Ferrari, In viaggio sulle Alpi. Luoghi e storie d’alta quota (Einaudi)
  • Mauro Corona, Il canto delle manére (Mondadori)
  • Reinhold Messner, Nanga Parbat. La montagna del destino (Mondadori)
  • Silke Unterkircher, L’ultimo abbraccio della montagna (Rizzoli)
  • Walter Bonatti, Un mondo perduto (Baldini Castoldi Dalai)
PER CHI VUOLE SOLO NARRATIVA
  • Antonio Invernici, La quinta vittima (Baldini Castoldi Dalai)
  • Asa Larsson, Sentiero nero (Marsilio)
  • Elisabetta Bucciarelli, Io ti perdono (Kowalski)
  • Luca Poldelmengo, Odia il prossimo tuo (Kowalski)
CUCINA E DINTORNI
  • Enzo Tuminello, Orchidee a tavola. La cucina di Nero Wolfe (Il Leone Verde)
  • Roberta Schira, L’amore goloso (Ponte alle Grazie)
  • Stefania Campo, I segreti della tavola di Montalbano (Il Leone Verde)
DIVERTENTI
  • Gino&Michele, Le cicale 2010 (Kowalski)
  • Maurizio Porro (a cura), Il meglio di Aldo, Giovanni e Giacomo (Rizzoli)
PER I BAMBINI
  • Anne Goscinny e Albert Uderzo, Il compleanno di Asterix e Obelix (Mondadori)
  • Barbapapà. Il pic nic (Nord Sud Edizioni)
  • Barbapapà. La fattoria (Nord Sud Edizioni)
  • Barbapapà. Le pulci (Nord Sud Edizioni)
  • Carlo Frabetti, Il vampiro vegetariano (Marco Tropea)
  • Christine Nostlinger, Lilli superstar (Einaudi)
  • Delphine Chedru, La fabbrica di immagini (Salani)
  • Dinosauri. Libro con scenario (Emme edizioni)
  • Geronimo Stilton nelle sue diverse performance e avventure (Piemme)
  • Henriette Bichonnier e Pef, Storie per ridere (Einaudi)
  • Lucio e Meera Santoro, Predatori (Mondadori)
  • Peter Coolback, 300 mucche per una via di fuga (Giunti)
  • Peter Coolback, In cucina con Mukka Emma (Giunti)
  • Pilar Lozano Carbayo, Da grande voglio fare il giornalista (Piemme)
  • Savana cucù (AbraCadabra)
  • Taro Gnomi, 1, 2, 3… Scarabocchi (Corraini)
  • Tutti pazzi per lo scubidù! (La Coccinella)

mercoledì 23 dicembre 2009

Mortari, Baricalla, Valcarenghi: tre buone letture

Luigina Mortari, Aver cura di sé (Bruno Mondadori, 158 pagg., 15 euro)
Dare senso al tempo della nostra esistenza non è una cosa scontata. Si può imparare strada facendo, oppure mai, accettando di essere spettatori del proprio vivere. Il concetto della "cura di sé" su cui ragiona Luigina Mortari, docente di Pedagogia a Bergamo, parte dal recupero dei testi classici, in alcuni passaggi atemporali, la cui riflessione rimane fondamentale, per concentrarsi sul concetto educativo dell'attenzione all'esistenza. Quell'attenzione che trasforma il vivere in esistere, e consente di dare forma al nostro tempo. Il testo sgombra il campo da alcuni luoghi comuni condizionanti, distingue tra autoreferenzialità (e quindi solitudine) e capacità di ragionare su di sé, che si affina attraverso il dialogo con altri, il confronto e l'acquisizione di differenti prospettive. Così una vita troppo ricca di atti impersonali, perché frutto di modi e dinamiche mentali decise altrove, diventa inautentica. La diffidenza verso la cura di sé, tuttavia, è il prodotto di una cultura che da sempre ha identificato l'attenzione verso se stessi con un atteggiamento egoistico e individualistico, e non in termini di accrescimento e capacità di coltivare le dinamiche relazionali.

Vilma Baricalla, Animali ed ecologia in una rilettura del mondo al femminile (Perdisa, 185 pagg., 15 euro)
Il criterio di fondo che riunisce questi otto saggi, redatti da docenti di varie discipline, è un parallelismo tra il femminile, l'ecologia e il mondo animale, dal punto di vista della comune discriminazione e subordinazione patite per secoli, in un'ottica quasi totalmente priva di senso di responsabilità e di cura. L'approfondimento dei temi varia, ma alcuni saggi sono decisamente un punto di partenza: non solo le argomentazioni introduttive della stessa curatrice, filosofa ambientale, e il suo intervento sulle configurazioni del femminile nel pensiero ecologico, ma anche il paradossale testa a testa tra "umanità e animalità" di Luisella Battaglia, docente di Bioetica, che indaga i motivi della paura e della presa di distanza storica e culturale dell'uomo dall'animale. Dinamiche mentali che si ripropongono rispetto alle donne, nel decretarne presunte inferiorità. Altro saggio notevole, è quello sulle caratteristiche dell'Ecofemminismo, esplorate da Silvana Castignone, docente di Filosofia: concezione che istituisce un parallelismo tra lo sfruttamento delle donne e quello della natura, con il fine di rivalutare le caratteristiche femminili troppo trascurate. Così, al punto di vista gerarchico che da sempre ha connotato la cultura occidentale, si oppone una visione del mondo e dei rapporti sociali trasversale, in cui ogni essere vivente ha un ruolo che non lo pone al di sopra o al di sotto degli altri, ma che si integra in concetto globale equilibrato.

Marina Valcarenghi, Senza te io non esisto. Dialogo sulla dipendenza amorosa (Rizzoli, 106 pagg., 8.20 euro)
I libri di Marina Valcarenghi sono sempre gradevoli e interessanti passeggiate introspettive, chiari nell'evidenziare una condizione e nell'analizzare i percorsi sommersi e comuni che conducono verso risultati psicologicamente simili. Anche questa immaginaria conversazione con una giovane interlocutrice, che ancora non distingue tra desiderio e bisogno, chiarisce le idee su una serie di autoinganni che le donne, più o meno inconsapevolmente, si trascinano nei rapporti sentimentali. Visioni condizionate dall'educazione, dagli schemi morali, dall'appartenenza a un contesto sociale forte, e che sfociano in un disequilibrio emotivo all'interno dei rapporti amorosi. Temi che la psicoterapeuta milanese aveva già in parte affrontato in L'aggressività femminile (qui l'intervista), ma che in questo saggio di agilissima lettura tornano più circoscritti a un tema preciso, quello della dipendenza emotiva nei rapporti di coppia.


martedì 22 dicembre 2009

Eugenio Tornaghi, Il debito dell'ingegnere


Chi è l'ingegnere? E perché sulla copertina del nuovo giallo di Eugenio Tornaghi, Il debito dell'ingegnere (Todaro, 285 pagg., 16 euro) c'è una foto con quella frase - "E' finita!" - che tanti hanno scritto alla fine dell'anno di leva obbligatoria? Passano oltre dieci anni tra prologo e storia, tra l'estate del '94, quando Giorgio Crespi su suicida in caserma, e l'inverno del 2005, quando l'ingegner Antonio Cavenago si rende conto di essere in debito con qualcuno. Debito morale e di giustizia, nato da un errore di prospettiva, dalla mancanza di esperienza per le cose della vita, da l'indagine sulla quella morte che gli era stata affidata e credeva di aver portato avanti con lucidità. Impiega oltre dieci anni a capire che è tutto da rifare, e che non è troppo tardi.

Riparto dall'inizio: chi è l’ingegnere?
L'idea era di fare un romanzo giallo che fosse anche un romanzo di apprendimento. Volevo un protagonista che avesse rinunciato ai sentimenti, alle sensazioni, alla parte animale del suo io, per infilarlo in situazioni in cui la logica cartesiana è meno utile dell'istinto e costringerlo quindi a imparare il linguaggio dei rapporti umani. Da qui l'idea che fosse ingegnere, anzi, l'archetipo dell'ingegnere, uno che più che vivere, funziona.

Nel romanzo c’è il tema della leva obbligatoria, e della sua valenza nel percorso di crescita di un ragazzo. Cosa te lo fa ritenere un momento così importante?
La leva obbligatoria era un'esperienza unica. Costringeva ragazzi di tutti i ceti sociali e di tutte le regioni a convivere. Per quanto assurdo possa sembrare, era proprio la costrizione, l'obbligatorietà, a rendere la leva uno strumento di democrazia. Ragazzi che per censo, carattere o cultura, non avrebbero mai scelto di confrontarsi con ragazzi "diversi" da loro, erano costretti a farlo in ossequio a un obbligo costituzionale. C'era poi un altro aspetto importante, ovvero il fatto che le caserme fossero "aperte". I militari di carriera, ufficiali e sottufficiali, erano costretti a convivere con la cosiddetta società civile: i ragazzi che svolgevano il servizio, ma anche i loro familiari. La mentalità militare si stemperava nel confronto. Tutto questo oggi non c'è più, e credo valga almeno la pena di rifletterci sopra.

Tornerai a scrivere di delitti che nascono davanti o dietro gli sportelli bancari come in Una spiegazione logica, il tuo precedente romanzo?
Penso proprio di sì. Credo che la banca sia un ambiente perfetto e non ancora abusato, per il giallo, ma soprattutto ritengo sia un mondo universale che ancora deve essere spiegato. Per universale intendo che tutti, ma proprio tutti, hanno a che fare con una banca che è spesso determinante nelle loro vite: con un mutuo concesso, o negato, o magari con un investimento sbagliato. Credo possa essere interessante spiegare cosa c'è "dietro lo sportello", e ritengo che attraverso il meccanismo del giallo si possa farlo senza fare sbadigliare il lettore. In Una spiegazione logica, ho descritto come funziona l'usura. Probabilmente gli stessi contenuti si trovano in qualche interrogazione parlamentare, ma il mio romanzo, in più, fa ridere!


lunedì 21 dicembre 2009

Nuove icone


Il modello sta tra perfezione e aggressività. La prima nel corpo, l'altra nel carattere. Corazzate e dominanti, prive di età. Indipendenti dalle emozioni, dai sentimenti, dall'innamoramento e dagli uomini. Rimasti al palo e incapaci di prendere il nuovo ritmo, di fare sforzi, di comprendere. Di abbandonare il telecomando per guardarsi attorno, di capire se gli orizzonti del mondo vanno oltre il campo di calcio e l'abitacolo dell'auto nuova. Anche i più evoluti, sempre frenati dalla pigrizia mentale. Ma ormai questo non sembra contare quasi più, perché le nuove icone del femminile sono l'ormai cristallizzata Lara Croft e la Barbie, sopravvissuta al festeggiamento dei suoi primi cinquant'anni, o ancora Megan Fox, vampiressa del film Jennifer's Body. Azzannano, sparano, tranciano con una sola parola. Seducono in scioltezza, senza mai sbandamenti. Paradossalmente, questi modelli si rivolgono più allo status femminile che al desiderio maschile. Il plauso dell'uomo sembra non avere più importanza: basta uno specchio per autocompiacersi e rendere superfluo qualsiasi complimento.

Ma poi mi guardo attorno e non le vedo queste donne. Mi accorgo che non esistono e che mai prenderanno forma. Le ho cercate, anche solo attraverso una somiglianza, un'estetica, un'ambizione, nelle decine di donne che hanno contribuito a determinare parti grandi o piccole degli accadimenti di quest'ultimo anno. Le icone, quelle vere, che calpestano lo stesso suolo sul quale viviamo tutti, che hanno fortemente creduto in un ideale o un progetto, riuscendo a cambiare qualcosa da qualche parte nel mondo, non sono come i modelli che stanno cercando di rifilarci. Non sono per forza belle, anche se non disdegnano di esserlo, non sono fisicamente scattanti e assetate di vendetta, perché la determinazione non lascia spazio a queste inutilità. Spesso non sono nemmeno giovani, perché hanno pazientato anni prima di raggiungere le loro mete.
La blogger cubana Yoani Sanchez, che intasca le minacce e aggira le barriere informatiche imposte dal regime, raccontandolo da dentro. Irina Bokova, ex Ministro degli Esteri bulgaro e ora prima donna alla direzione generale dell'Unesco. La portoghese Joana Carneiro, direttore d'orchestra a capo della Berkeley californiana e acclamata a La Fenice di Venezia. La scrittrice turca Elif Shafak, processata in patria per aver denunciato il genocidio armeno. Livia Pomodoro, prima e unica presidente di Tribunale in Italia, che ha introdotto il processo civile telematico a Milano. Amalia Ercole Finzi, docente di Meccanica orbitale a Milano, che ha progettato la trivella che tra due anni perforerà la Luna. Elizabeth Blackburn, esclusa dalla Commissione Bioetica Usa da George Bush, e ora Nobel per la Medicina 2009. Alessia Montagnoli, promotrice della protesta che ha salvato dalla chiusura il Nerviano Medical Center, di cui è coordinatrice. Elinor Ostrom, americana e studiosa dell'ottimizzazione del rapporto tra uomini e ambienti, che ha vinto il Premio Nobel per l'Economia 2009.
Soprattutto sono silenziose queste donne. Non hanno perso tempo in polemiche, in tavole rotonde inutili e ripetitive, in dibattiti fittizi. Si sono fissate un obiettivo, si sono spese per raggiungerlo, ma anche per difendersi. Hanno saputo essere un esempio, eppure faticano a rappresentare un modello.

Maitena Burundarena, argentina e fumettista, ha pubblicato in Italia tre libri che raccolgono le sue sarcastiche e divertenti strisce sulle donne, sul loro rapporto con il proprio corpo e con gli uomini. Titoli ormai da remainders, ma sempre attuali: Donne a fior di nervi (Mondadori, 189 pagg., 13 euro), seguito da Vite smagliate (Mondadori, 238 pagg., 14 euro) e dalla raccolta di vignette Le superate (Mondadori, 155 pagg, 12 euro).


sabato 19 dicembre 2009

Bibliografia per cuoche appassionate

"Quello che è buono da mangiare è in primo luogo buono da pensare. Il cibo - qualsiasi cibo - prima di essere un nutrimento, è un atto mentale e culturale. La psicologia alimentare si prefigge d'individuare gli aspetti e i processi psicologici, individuali e collettivi, sottesi all'alimentazione. Anzitutto, occorre considerare la curva dell'apprendimento alimentare, poiché ogni soggetto, fin da piccolo, impara ad apprezzare certi gusti; impara a consumare i cibi con una certa consistenza, forma, colore e dimensione; acquisisce un determinato ritmo nella regolazione dei pasti. Questo apprendimento alimentare ci segue per tutta la vita e troviamo particolarmente appetitosi i piatti che abbiamo mangiato da piccoli, anche se relativamente semplici" (Luigi Anolli e Paolo Legrenzi, Psicologia generale, Il Mulino, cap. 8, La motivazione).

Questa la premessa psicologica e antropologica, ma poi si va oltre, perché nella stessa gerarchia del bisogni elaborata da Abraham Maslow, si parte dalle necessità fisiologiche per approdare a quelle di autorealizzazione man mano che progredisce la capacità di soddisfacimento. Quindi direi che questa bibliografia - elaborata ad uso di chi si concede il lusso della cucina in questi giorni festivi, ma anche di smaltimento delle ultime ferie dell'anno - è per cuoche appassionate ma anche con grande senso estetico, per le quali l'appagamento passa attraverso la vista prima ancora dal gusto. Del resto buona parte dell'editoria culinaria va ormai in questa direzione, ponendosi allo stesso livello dei libri di arte, fotografia o collezionismo.

Ecco dunque una selezione di titoli dai quali attingere idee, ma anche solo da sfogliare per godersi la bellezza delle fotografie. L'elenco segue l'ordine di apparizione sulla tavola.

- Marco Colantuono e Luca Pappagallo, Cookaround. La cucina degli italiani. Ricette pensate, cucinate e gustate nelle case d'Italia (Castelvecchi, 284 pagg, 25 euro)
- aa.vv. Ricette italiane. Il gusto di cucinare e il gusto della tavola (Gambero Rosso, 143 pagg., 12.90 euro). Foto di Sigrid Verbert.
- Sergio Barzetti, La tavola delle feste (Fabbri, 239 pagg., 25 euro).
- Viviana Lapertosa, Finger food, 120 ricette da mangiare in un boccone (Gambero Rosso, 206 pagg., 16 euro). Foto Luca Bartolomei.
- Sigrid Verbert, Easyfinger (Gambero Rosso, 144 pagg., 16 euro)

- Alba Pezone, Pasta. Sapori e profumi dal sud: 40 ricette d'autore (Gambero Rosso, 160 pagg., 18 euro) Foto di Laurence Mouton.
- Roberta Schira, La pasta fresca e ripiena. Tecniche, ricette e storia di un'arte antica (Ponte alle Grazie, 350 pagg., 16.80 euro)
- Donna Hay, Sempliciessenziali. Pasta, riso + noodles (Guido Tommasi editore, 92 pagg, 15 euro)
- Michel Roux, Frolla&Sfoglia. Teoria e pratica dell'impasto (Guido Tommasi editore, 304 pagg., 25 euro). Foto di Martin Brigdale.
- Jody Vassallo, Pasta&Sughi (Guido Tommasi editore, 160 pagg., 24 euro). Foto di Deirdre Rooney.

- Donna Hay, Ricevere in un istante (Guido Tommasi editore, 190 pagg., 28 euro). Foto di Con Poulos.
- Donna Hay, Classici moderni, volume 1 (Guido Tommasi editore, 192 pagg., 28 euro) Foto di Con Poulos.
- aa.vv., Il gourmet equo e solidale (Gribaudo, 240 pagg., 19.90 euro)
- Viviana Lapertosa, Tuttifritti, 120 ricette (Gambero Rosso, 209 pag., 16 euro). Foto di Luca Bartolomei.
- Carmelo Chiaramonte, A tutto tonno (Bibliotheca Culinaria, 76 pagg., 20.50 euro). Foto di Janez Puksic.
- Giovanni De Biasio, Baccalà (Guido Tommasi editore, 160 pagg., 24 euro). Foto di Nicolas Lemonnier.
- Laurence e Gilles Laurendon, Ricette & altre storie di polli (Guido Tommasi editore, 192 pagg, 28 euro). Foto di Akiko Ida e Laurent Parrault.

- aa.vv., Ricette di Osterie d'Italia. I dolci (Slow Food, 414 pagg, 18 euro)
- José Maréchal, Bicchieri tutto cioccolato (Bibliotheca Culinaria, 70 pagg., 11.80 euro). Foto di Akiko Ida.
- Tessa Bramley, Dolci (Luxury Books, 64 pagg., 14 euro). Foto di Christine Hanscomb.
- Lori Longbotham, Il set del cioccolato (Salani, 50 schede, 12.50 euro). Foto di William Meppem.
- Donna Hay, Christmas. Ricette semplici per un buon Natale (Guido Tommasi editore, 78 pagg., 15 euro)

Per concludere, un po' di teoria.
- aa.vv., Dizionario delle cucine regionali italiane (Slow Food, 767 pagg., 23 euro)
- Marco Guarnaschelli Gotti, Grande enciclopedia della gastronomia, a cura dell'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche (Mondadori, 1808 pagg., 40 euro)
- Gualtiero Marchesi, Il codice Marchesi (La Marchesiana, 143 pagg., 28 euro)
- Cristine McFadden, Gli utensili del gourmet (Calderini, 144 pagg., 34 euro). Foto di Mark Williams.


lunedì 14 dicembre 2009

Meglio sardi che noir

Bel titolo, decisamente. Purtroppo non è una mia creazione, ma la tavola rotonda organizzata al Courmayeur Noir in Festival per fare il punto sul successo della narrativa sarda, sui suoi temi di fondo e su ciò che fa la differenza. Un'isola ad "alta densità di scrittori", se è vero che il rapporto è di uno ogni settemila abitanti. Ospiti dell'incontro: Michela Murgia, Giorgio Todde, Giulio Angioni, Wilson Saba, Giovanni Maria Bellu. Coordinatore: Marcello Fois (il suo ultimo libro è Stirpe, Einaudi). Partiamo da lui e dalla sua introduzione: "La scrittura sarda è scrittura internazionale? Ed è noir? La risposta ad entrambe le domande è tendenzialmente sì. È internazionale nel momento in cui non subisce il complesso del figlio minore che deve sempre giustificare le sue azioni. E' noir in quanto scrittura di inquietudine. Ma il noir è una categoria ampia, tanto che il suo senso sta anche nella sua trasgressione. La situazione odierna dell'editoria sarda mi pare florida, con un denominatore comune nell'uso insolito e creativo della lingua. Ci sono però due problemi principali: da un lato il folclorismo del volerla cacciare dentro una dimensione locale, dall'altro il provincialismo inteso come quell'aspetto esterofilo che deriva dal vergognarsi delle proprie origini. Altra questione è il rapporto con il luogo comune: una sorta di maledizione, un angelo che ti si siede accanto quando ti metti davanti al computer, ma che determina la qualità di uno scrittore. Per esempio la figura dell'accabadora è uno dei tre o quattro luoghi comuni della Sardegna, e avventurarsi in queste fauci, come ha fatto Michela Murgia, non è cosa da poco. Essere sardi non basta, bisogna saperlo essere".

Michela Murgia (il suo ultimo libro è Accabadora, Einaudi): "L'ironia perfida degli scrittori sardi, assieme allo spirito dell'isola, crea il collegamento con il noir. Non mi riconosco nel genere, ma noi sardi siamo noir non tanto come letteratura, quanto nella prospettiva, nel modo di essere sardi al mondo. Il senso del destino o della minaccia sono un luogo di espressione della nostra cattiva coscienza: se gli scrittori noir esprimono questa cattiva coscienza, allora io sono noir. Lo vediamo nella gestione del senso di colpa, in un qualcosa da farsi perdonare: per esempio il concetto della "penitenza di morte", per il quale se qualcuno impiega molto al momento del trapasso, è perché nella vita ha fatto qualcosa che deve espiare. Non sai cosa sta espiando, la famiglia gli è vicina e non lo sa: è come se ci fosse un colpevole, ma non un delitto. Ma non occorre arrivare all'azione: la cattiva coscienza sta già nel desiderio, nel tramare".

Giorgio Todde (il suo ultimo libro è Dieci gocce, Frassinelli): "Mi si è inaridita la vena su questo tema: essere sardo per me non ha mai costituito un'aggravante. La Sardegna è un'isola, e come tale è metaforica e simbolica. Il nostro corredo genetico viene studiato in tutto il mondo, perché è puro, soprattutto di chi proviene dal centro dell'isola. Quindi, se la genetica determina la forma del nostro volto, il ragionamento deve partire anche da questo aspetto, e dalle caratteristiche che comporta essere un popolo appartato".


domenica 13 dicembre 2009

James Sallis, La strada per Memphis

La sua è pura provincia americana, lontana da ogni pensiero metropolitano, e legata solo a logiche di sopravvivenza, vendetta, fuga. Centinaia di chilometri da macinare ogni giorno, polvere e mestieri improvvisati, una giustizia che fatica a disegnare i suoi confini, ma anche lo spazio in cui agire. James Sallis racconta questa società, da sempre. Nell'ultimo romanzo, La strada per Memphis (Giano, 223 pagg., 17 euro) John Turner, ex detective con undici anni di carcere alle spalle e una filosofia del fatalismo ormai radicata, accetta il ruolo di vicesceriffo di una cittadina del Tennessee. Quanto basta per spingerlo a vendicare l'aggressione di un collega e ad affrontare con insolita scioltezza violenze, gang, informatori. La storia è un pretesto per raccontare un mondo che rischia di sfuggire di mano, di rimanere un ritratto da cartolina senza più protagonisti reali.

Raccontare la provincia americana è stata una scelta obbligata per trovare uno scenario adeguato al tuo concetto di noir?
Non so se questo è il motivo per cui ho deciso di parlarne. Sono nato in provincia, ma ad un certo punto mi sono reso conto che non ne avevo mai scritto. E' un mondo che tende a scomparire, perché nessuno lo sopporta. Sta diventando effimero, e ho capito che avevo voglia di scrivere di questi uomini, ma dovevo trovare il modo giusto per farlo. E' stato un episodio apparentemente banale a farmi capire come avrei dovuto affrontare questo contesto: un giorno ho visto due persone che confabulavano accanto a una pompa di benzina, e mi sono chiesto che cosa stavano dicendo, quali potevano essere i loro argomenti. A quel punto ero già trascinato nella loro dimensione. La provincia è un surrogato di tutti gli Stati Uniti, ma chi ci vive sono soprattutto cow boy. Sono la parte periferica di una società più grande, e volevo descrivere questa marginalità.

Perché le tue figure di donne sono sempre così mascoline?
Forse perché le donne da cui sono sempre stato attratto sono molto forti. Inoltre trovo offensivi i personaggi femminili deboli: non ho mai avuto pazienza o interesse per le donne prive di abilità particolari, e quindi trovo stupido pensare che una donna non possa essere mascolina e lo stesso sposarsi ed avere delle buone qualità. In realtà nessuno mi aveva mai fatto questa domanda, e ci sto riflettendo solo ora.... C'è un mio romanzo non ancora tradotto in Italia, Others of my mind, che racconta in prima persona di una donna che è stata adottata. Volevo mostrare come tutti siamo vittime, perché tutti abbiamo subito danni che ci hanno minati nel profondo, ma allo stesso tempo provo molto interesse a parlare di queste persone che sono riuscite a diventare forti anziché permettere che il mondo le schiacciasse.

Quando ritieni che una storia sia un buon soggetto da raccontare? Quali caratteristiche deve avere?
Ce ne sono parecchie, ma alcune sono prioritarie. Insegno scrittura creativa, e ai miei studenti dico sempre di non cercare di far entrare per forza un mondo in una sola frase. Per me è importante l'affresco generale che si viene a creare, e non importa se servono quattrocento pagine o una sola. La storia deve mostrare un mondo più grande di quello in cui viviamo, e alla fine della lettura ci deve lasciare qualcosa. Una volta superate le questioni pratiche come lo stile, bisogna ragionare sulla struttura, che deve essere fatta di anticipazione e quindi stimolo della curiosità, e di qualcosa che il lettore non si aspetta. Questo misto di attesa e sorpresa per me equivale all'arte, o almeno a ciò che io definisco arte. Se già io come scrittore mi autosorprendo, facendo qualcosa che non mi aspettavo, credo che valga a maggior ragione per i miei lettori, e che quindi quello che sto facendo possa essere una buona cosa.


sabato 12 dicembre 2009

Jennifer's Body: Diablo Cody

L'ho visto in anteprima al Courmayeur Noir Festival, con tutti i pregiudizi che nutro da sempre verso l'horror, in qualsiasi forma. Jennifer's body, non mi è piaciuto, perché decisamente non appartiene al mio genere, ma lo stesso ho deciso di spendere qualche parola per questo film. Innanzi tutto perché lei, Diablo Cody, mi è piaciuta molto. Simpatica, spontanea, una persona che ti ispira semplicità, nonostante l'improbabile tatuaggio che le copre il braccio. E' sua la stesura di questo film, come lo era stata quella di Juno, Premio Oscar 2008 per la migliore sceneggiatura originale. Inoltre perché bisogna ammettere che qualche argomento di conversazione lo scatena, attraverso i suoi grandi temi di fondo: non solo gli adolescenti e la costruzione dei primi rapporti sentimentali, gli equilibri all'interno di un'amicizia e le paure esistenziali, ma anche la capacità di vivere il corpo, i confini tra dentro e fuori, tra lucidità e follia. Il lavoro di ricerca dei simbolismi attraverso la fiaba, l'iconografia della paura e il sarcasmo verso i luoghi comuni. Bella la fotografia, perfette le due interpreti in un confronto tra bellezze assolute e opposte, Megan Fox e Amanda Seyfried.


Diablo, qual è la chiave di lettura di Jennifer's body?
"Spero che tutti possano cogliere il doppio livello di lettura di questo film: da un lato è un horror, con il carico di paura e i lati oscuri. Poi c'è il livello del puro e semplice divertimento, nel quale ho cercato di spendermi con ironia. La sceneggiatura è un incrocio di storie: da un lato volevo una storia horror, di genere, che divertisse, dall’altro un’analisi sociale di cosa significa essere una teenager oggi negli Stati Uniti. E devo dire che sono stata fortunata a incontrare Karyn Kusama. Prima di lei altri registi si erano proposti, ma poi è arrivata Karyn e ho capito subito che avrebbe fatto il film esattamente come l’avrei realizzato io. Poi devo aggiungere che, essendo sia sceneggiatrice che produttrice, ho potuto scegliere con chi lavorare".

Una produttrice donna, come la regista e le interpreti principali. E' un caso?
"Ovviamente no... Per quanto il genere horror sia femminista, effettivamente il punto di vista che si è sempre affermato è stato quello prettamente maschile. È vero che in altri film sono stati costruiti dei personaggi femminili forti e importanti, ma credo che in Jennifer’s Body emerga prepotentemente lo sguardo femminile".

Possiamo definire "voraci" le tue protagoniste?
"Penso che il termine giusto per definirle sia "tipe con del mordente", e in questo caso è letterale. Questo film è un racconto sull’odio tra ragazze, la sessualità, la morte dell’innocenza, e anche sulle politiche adottate, il modo in cui la città risponde alle tragedie. Chi si permette di dare una risposta non convenzionale viene marchiato come traditore. Ma riguarda anche il divertimento, volevo scrivere un popcorn movie che piacesse a tutti".

Intanto questa mattina la Giuria Internazionale del XIX Courmayeur Noir in Festival, presieduta da James Sallis ha attribuito i seguenti premi:
Leone Nero per il miglior film: Vengenace di Johnnie To "Per la forza visiva e narrativa delle immagini di un’amicizia estrema e per l’abilità del regista di fondere commedia e thriller in un modo avvincente".

Premio Speciale della Giuria: Black Dynamite di Scott Sanders "Per la scrittura intelligente, innovativa, ironica e le eccellenti interpretazioni. Il film, divertente dall’inizio alla fine, ha anche una indimenticabile colonna sonora originale".

Premio per la Migliore Interpretazione, ex-aequo: Florence Loiret-Caille in La dame de Trèfle di Jérôme Bonnell e Emir Kusturica in L'affaire Farewell di Christian Carion: "La prima per il ritratto sfaccettato e coraggioso di una donna allo stesso tempo fragile e feroce, e il secondo per la spontaneità e naturalezza con cui ha rappresentato un traditore appassionato e tradito".

Premio DocNoir per il Miglior Documentario: Killer Poet di Susan Gray. "Il film si distingue rispetto alle opere presentate in concorso per la coerenza tra soggetto e messa in scena, ci colpisce per la sua parabola esistenziale tormentata e originale e per l'approccio profondamente umano della regia che ci restituisce questa storia in tutta la sua emozione".


venerdì 11 dicembre 2009

Sebastian Fitzek, Il bambino


Lavora sulla tensione psicologica, sugli aspetti più cupi e sconosciuti della mente, sulle paure ancestrali. Scrittura tagliente e diretta, dialoghi serrati che si prendono abbondante spazio nelle trame, poco spazio mentale per uscire dai labirinti che impone al lettore. Sebastian Fitzek, ospite del NoirFest, in sei mesi ha pubblicato in Italia due dei suoi quattro thriller: Il ladro di anime (Elliot, 300 pagg, 17.50 euro) e Il bambino (Elliot, 386 pagg., 17.50 euro). Anzi, psychothriller, perché la connotazione principale della sua scrittura è la capacità di togliere spazio a ciò che sta fuori, per trascinare ogni dinamica in una dimensione introspettiva. Il Ladro di anime si racconta attraverso una ipotetica cartella clinica dell'ospedale psichiatrico di Berlino, in una dimensione claustrofobica di poche ore, alla Vigilia di Natale, in cui i pazienti sono obbligati a confrontarsi e a tentare di salvarsi dalle misteriose capacità di un degente di annientare le loro volontà. Protagonista del secondo romanzo è Simon Sachs, il bambino, la cui psiche è disturbata da inquietanti rimandi a una vita precedente in cui è convinto di essere stato un assassino.


Cosa ti affascina dell'incontro tra psichiatria e thriller?
Mi interessa la psiche umana, uno dei territori meno esplorati al mondo. E' come le profondità marine: si sa che esistono ma nessuno può dire di averle conosciute a fondo. In ciò che racconto non ci deve essere necessariamente il sangue per creare la tensione, ma emozione forte e paura.

Nei tuoi libri ci sono spesso figure di bambini. Perché?
In effetti è così. Non so bene il motivo, non è una condizione programmata e obbligatoria, ma credo che tutte le storie interessanti sono, in qualche modo, storie di famiglia, e quindi un figlio è fondamentale. Inoltre il bambino è una figura in evoluzione, e attraverso la sua crescita e i suoi cambiamenti si possono leggere gli adulti attorno a lui, descrivere cosa succede e come interpretano il mondo.

Un personaggio a cui sei particolarmente affezionato, e uno a cui hai pensato e non sei ancora riuscito a collocare.
Ce n'è uno in ogni libro: in quest'ultimo è proprio il bambino, Simon, che in alcuni tratti mi ricorda mia madre, una donna capace di mantenere un buon carattere nonostante le grandi difficoltà della sua vita. Per questo alla fine del romanzo gli esprimo la mia gratitudine. Sono molto legato anche all'avvocato, uomo scettico con molti tratti della mia personalità. Non scrivo seriali, mi piacciono i personaggi di cui sto scrivendo ma poi li abbandono. Se capita che uno di loro torna, è perché mi ha lasciato qualcosa. In Splitter, romanzo non ancora tradotto in Italia, ci sarà nuovamente Caspar, uno dei protagonisti di Il ladro di anime. Solitamente non parto dall'idea di un personaggio, ma da una situazione, e dalla domanda "Cosa succederebbe se...?". Per esempio, cosa succederebbe se un bambino immaginasse di essere stato un serial killer in una vita precedente? Da qui costruisco le figure che devono popolare la storia. In questo momento ci sono due persone che mi affascinano e potrebbero finire in uno dei prossimi libri. La prima è uno studioso che si occupa di attacchi di panico di massa, per osservare e capire le reazioni della gente davanti a pericoli collettivi. L'altra è un parroco di Berlino che segue i bambini poveri: ne ha circa duemila, perché da alcuni anni a questa parte la nostra è una città con grandi difficoltà economiche e con disagi sociali insanabili, in cui si moltiplicano le iniziative di solidarietà. I bambini sono particolarmente colpiti dalle conseguenze di questa situazione, e ci sono solo due sacerdoti che si occupano di loro da vicino.


giovedì 10 dicembre 2009

Marco Vichi vincitore del Premio Scerbanenco 2009


Marco Vichi è il vincitore del Premio Scerbanenco 2009 per il miglior romanzo noir italiano edito negli ultimi dodici mesi. La sua vittoria, con Morte a Firenze. Un'indagine del commissario Bordelli (Guanda) è stata proclamata ieri sera sul palco del Noir Fest di Courmayeur da Cecilia Scerbanenco "per aver saputo costruire una storia di ampio respiro e di impegno civile insieme amara e dolente. E aver dato spessore e complessità umana al suo personaggio, grazie ad una scrittura nitida ed efficace". Menzione speciale a Elisabetta Bucciarelli con Io ti perdono (Kowalski), "per l’originalità della scrittura e l’analisi psicologica".
Roberto Riccardi con Legame di sangue, è il vincitore del Premio Tedeschi 2009, riservato a romanzi gialli italiani inediti pubblicati nella collana Il Giallo Mondadori.

Da sinistra Marco Vichi con Carlo Oliva, Elisabetta Bucciarelli con Lia Volpatti.

Questo è solo un aperitivo di quello che è successo. Il resto, su cui tornerò nei prossimi giorni con interviste e resoconti, si chiama James Sallis, Sebastian Fiztek, Michela Murgia, Marcello Fois, Giorgio Todde, Diablo Cody, Premio Tedeschi.


martedì 8 dicembre 2009

Roberta Schira, La pasta fresca e ripiena


Da dieci anni Roberta Schira racconta il cibo attraverso ritratti di chef, viaggi nella cucina popolare, narrativa gastronomica, libri per chi prima di mangiare deve fare i conti con la salute, o per chi con il cibo non ha un buon rapporto. "Eppure - dice - finora ho realizzato un quinto di quello che vorrei fare e delle idee che mi vengono strada facendo". Il suo ultimo lavoro, La pasta fresca e ripiena (Ponte alle Grazie, 351 pagg., 16.80 euro) è il risultato di tre anni di raccolta di informazioni in giro per l'Italia. Un libro dedicato a una tradizione che, statistiche commerciali alla mano, sta tornando ad avere grande attenzione: le aziende che producono macchine per fare la pasta negli ultimi mesi hanno segnato un incremento delle vendite del venti per cento, così come la macchine per fare il pane in casa, ma allo steso tempo i corsi per imparare a lavorare la sfoglia, segnano un aumento di oltre il trenta per cento dei partecipanti.
Nel libro di Roberta Schira, pubblicato nella collana curata da Allan Bay, si trovano 200 ricette italiane, 20 formati di riferimento illustrati da Florence Boudet, 50 pagine dedicate a tecniche e consigli, precedute da un percorso storico e da un apparato teorico che spiega da dove arrivano gli alimenti che consumiamo tutti i giorni. Poi gli ingredienti base, gli utensili, i condimenti, i ripieni, la cottura.

Perché tutto questo interesse per questo tema?
"Tornare a lavorare il cibo in casa, ed in particolare impastare, è uno dei gesti che più sublima l'aggressività, che rilassa, il gesto più utile e terapeutico all'interno della gestualità della cucina, fatta di momenti in cui si taglia, si disossa, si fa a pezzi e si mette sul fuoco. Invece la manipolazione ci porta a fare pace con il cibo, da molti punti di vista. L'idea dell'impasto è affascinante, e la pasta ripiena è simbolo di contenuto e contenitore, di dentro e fuori. Sono consapevole che un manuale di questo genere, il secondo che realizzo dopo quello dedicato alle frattaglie, è molto rischioso, perché significa esporsi alle critiche: con molta pazienza, ho cercato di fare ordine, codificare i formati, cercare la versione più tradizionale di ogni ricetta, e ricondurle alla loro territorialità d'origine. Questo lavoro è il mio concetto di ricettario oggi".

Si dice che fare la pasta in casa sia difficile: c'è un fondo di verità in questo?
"La difficoltà è una questione mentale: con un po' di pratica diventa tutto abbordabile. La verità è che la pasta fresca si fa in mezz'ora, ma prima occorre spendere un po' di tempo per esercitarsi, come ho fatto io. Le ricette che si trovano nel libro sono state tutte realizzate, anche più volte. Le indicazioni sono il più precise possibile, ma poi certi aspetti, come il rapporto della pasta con il ripieno, non sono mai generalizzabili, quindi bisogna provare. E' fondamentale arrivare a capire quello che si mangia, maturare la consapevolezza di cosa è davvero il cibo e cosa significa mangiare. Per questo in fondo al libro ho inserito una scheda degustazione, per imparare ad osservare gli aspetti fondamentali e distinguere ciò che è buono. Poi, fondamentale, è non prendersi mai troppo sul serio..."

Cos'è un piatto tradizionale?
"Io intendo una ricetta che si cucina da almeno cento anni. Girando per l'Italia, e soprattutto per la provincia italiana, ho fatto un lavoro comparato: ogni volta che ero in una zona, andavo ad esplorare e confrontare la cucina domestica e della ristorazione, ma anche le pubblicazioni di editoria locale che raccolgono uno patrimonio che raramente va la di là di quel territorio. Da questo lavoro, alla fine è uscita la ricetta che più si avvicinava alla tradizione".



lunedì 7 dicembre 2009

Joseph Pulitzer, Sul giornalismo

"Mi si obietta che la moralità, come l'istinto per la notizia, non può essere acquisita, ma deve essere innata. Prendo questa obiezione assai sul serio, poiché per me un giornalista privo di moralità è privo di tutto. Ma le cose stanno proprio in questi termini? (...) L'addestramento non può creare un'indole, lo riconosco, né cambiarla completamente; in fondo però non è forse la coscienza altra cosa rispetto all'indole? Non è forse soprattutto una questione di educazione? Non può in definitiva essere considerata più una qualità acquisita che ereditaria o intrinseca?"
Joseph Pulitzer, Sul giornalismo (Bollati Boringhieri, 129 pagg., 10 euro)


domenica 6 dicembre 2009

Fred Vargas, Scorre la Senna

Sullo sfondo, Oratorio di Sant'Antonio da Padova, Piecastello di Colle Brianza (Lc), 1667.

Tre storie parigine di sottobosco umano, di carrelli della spesa trascinati giorno e notte lungo i marciapiedi, di panchine colonizzate da sarti costretti ai margini dalla crisi dei consumi. Tre delitti da risolvere, annunciati o intuiti, mascherati da suicidi o efferati e plateali. Si leggono in fretta e con piacere i racconti contenuti in Scorre la Senna di Fred Vargas (Einaudi, 95 pagg., 13 euro). Il protagonista è sempre Adamsberg, commissario che ha il privilegio di poter scegliere i casi sui cui indagare, e che usa solo l'intuito o l'empatia per arrivare alla soluzione. La sua Parigi è quella delle stazioni ferroviarie in cui vivono i senzatetto, delle strade notturne, dei ponti lungo la Senna, delle panchine nei giardini pubblici trasformate in dimore da chi trascina in una sacca tutto ciò che possiede. Sono gli interlocutori di Adamsberg, filosofi da strada, depositari ultimi del buon senso.
E' la lettura di una sera, anche se il prezzo di copertina non è dei più convenienti per il centinaio di pagine offerte e il passo non è quello del romanzo. Una versione ridotta, ma è sempre Fred Vargas.

giovedì 3 dicembre 2009

Skinner & Paker, Why Steve was late


Ci sono tre motivi per cui ho voglia di consigliare questo libro:
1. Isbn è un casa editrice che mi piace molto
2. Alcune vignette-suggerimento sono molto sagge
3. Sono una ritardataria cronica, incorreggibile, insopportabile.
Quindi Why Steve was late. 101 fantastiche scuse per chi è in ritardo di Dave Skinner e Henry Paker (Isbn, 101 pagg, 12 euro) è il mio libro.
Per fare questa foto, per esempio, ho rischiato di arrivare in ritardo a un appuntamento, ma lo stesso ho fatto la mia deviazione fino al lungolago. Ho cercato di riflettere sui motivi di questo mio difetto e sulle strategie per risolverlo, ma è stato tempo perso. Il risultato è sempre una concomitanza di cause: temporeggio fino all'ultimo istante, non prendo in considerazione i contrattempi che dilatano i tempi per arrivare all'appuntamento, e soprattutto considero l'essere in anticipo come una possibilità per fare qualcosa in più che non avevo previsto: una commissione, una colazione, una telefonata... Ma poi alla fine non lo so nemmeno io com'è che succede.
Così, dove non riesci ad arrivare con il razionale, cerchi di spendere il surreale. Da queste vignette si può riciclare qualcosa di buono, per non ripetere la solita storia del traffico e della sveglia che non suona: Mi sono persa nel piumone, Non ero pronta ad affrontare il riscaldamento globale, Sono stata testimone di un miracolo, L'impulso di alfabetizzare i miei animali mi ha sopraffatta, Ho dimenticato come si infilano i calzoni, Ho avuto un incidente battendo il cinque, Sono stata distratta dalla complicatissima sorpresa di un ovetto Kinder...
La migliore: Ho realizzato che il ritardo è un concetto relativo.


martedì 1 dicembre 2009

Dominique Manotti


La sua scrittura è passione, volontà di trovare la logica degli accadimenti, portare a galla quello a cui nemmeno le cronache riescono ad arrivare. Un incendio in una fabbrica che nasconde la pirateria finanziaria ad altissimi livelli, gli intrecci sotterranei tra economia e politica internazionale del governo francese, l’immigrazione e lo sfruttamento nei quartieri periferici di Parigi, raccontati prima che avvenissero le rivolte. Dominique Manotti, ex sindacalista, ex docente universitaria, sceglie un contesto da indagare, con il suo piglio storico nella ricerca e noiristico nello stile, e poi va a fondo. La speculazione finanziaria e le scommesse sui cavalli, il mondo del calcio, il doping e il riciclaggio di denaro. Nel complesso, uno spaccato trasversale e mai buonista della società (che parte dagli anni Ottanta e poi va oltre), dipinto con un distacco costante, che le permette di non affezionarsi nemmeno ai suoi protagonisti. L’ultimo romanzo pubblicato in Italia da Marco Tropea, come tutti i precedenti, è Vite Bruciate (pagg. 283, 16.60 euro). Lo hanno preceduto Il sentiero della speranza (pagg. 320, 12 euro), Il bicchiere della staffa (pagg.256, 12 euro), Curva nord (pag. 187, 14 euro) e Le mani su Parigi (pagg. 221, 12.90 euro). A gennaio uscirà il suo nuovo romanzo.

Cosa fa scattare lo spunto per una storia e come viene portato avanti?
La mia formazione di storico conta molto, studio anche per un anno prima di iniziare a scrivere: i personaggi nascono in questo periodo di ricerca, e solo a quel punto lascio il metodo storico e penso ai protagonisti, che sono tutti immaginari, mai ispirati a persone reali. Scrivere per me è molto faticoso e ossessivo, impiego un altro anno dopo la fase di documentazione. Per Vite bruciate ho iniziato le ricerche nel ’96, ma lo spunto iniziale del romanzo è stata la consapevolezza che in quell’azienda facevano molte truffe. Nel 2003 c’è stato un incendio, per il quale è stato arrestato un giovane marocchino. A quel punto mi sono detta che dovevo andare a vedere cosa stava succedendo. Sono andata nella Loira e mi sono trovata davanti a un paesaggio magico: quello è stato il punto di inizio del storia. La vicenda a cui si allaccia è l’acquisto di una fabbrica nel 1986, la Daewoo-Thompson, utile ai giochi della finanza. C’è un forte intreccio con la vita politica della Francia, ma tutto parte dal licenziamento di un’operaia, e dall’occupazione della fabbrica da parte degli altri lavoratori. Poi si sviluppa un incendio e si cerca un colpevole. E’ una storia di operai e di lotte, anche se sulla classe operaia ho uno sguardo poco paternalista. In questo libro ho voluto far incontrare due mondi che non si sfiorano mai, e qui diventa fondamentale la mia formazione di sindacalista.

Perché è scomparso Daquin, protagonista dei primi romanzi?
Ho abbandonato il commissario Daquin perché non mi piace identificarmi con i miei personaggi, voglio sempre mantenere le distanze. Loro non sono mai presi dalla realtà, solo i fatti all’interno dei quali si muovono sono veri. Ho un legame costante con loro mentre li creo, giorno e notte. Se si scrive troppo di loro, inevitabilmente ci si avvicina, diventano familiari, e io non voglio avere nessun coinvolgimento. Inoltre queste figure di poliziotto non esistono più nella polizia di oggi, stanno più alla scrivania e poco sulla strada. I personaggi devono essere costruiti assieme alle loro situazioni, e Daquin è nato assieme a un quartiere molto violento, appartiene a un’epoca e alle sue regole. E’ un misto di seduzione e brutalità, come lui. In un romanzo il personaggio deve costruire l’ambiente, vivere e seguire la storia del libro: il lettore partecipa a questo sviluppo, e cambia assieme a lui. La sua verità sta nella capacità di essere la manifestazione di una situazione reale, non nel suo essere seriale. Costruire personaggi basati sulla forza della fiction: questo è importante nel romanzo. Del resto i lettori non cercano storie che li rassicurino, ma personaggi che li rassicurino. Così i miei personaggi non sono mai buoni o cattivi, perché le mie non sono storie di bene o di male: è sempre tutto molto complesso e articolato di volta in volta.

Sindacalismo, insegnamento universitario e poi narrativa: cosa lega questi passaggi?
Ho iniziato a scrivere fiction per disperazione, a 50 anni. Ho fatto la sindacalista a lungo, e la ricerca storica mi appassionava molto, e mi aiutava nel mio lavoro. Quando ho lasciato il sindacato, nell’83, non ho più avuto la possibilità di cercare nella storia una utilità, come facevo per il mio lavoro, e poco alla volta sono rimasta senza motivazioni. Sono passati otto anni senza che scrivessi nulla, finché un giorno ho preso L.A.Confidential di James Ellroy, ed è stato uno choc. Ho letto tutto quello che aveva scritto, e quando sono arrivata all’ultima pagina dell’ultimo libro, mi sono detta che se lui era in grado di scrivere cose così potenti, allora valeva la pena di provarci. Scrivere fiction è più difficile che scrivere storia: la storia devi trovarla, ma esiste. Per la fiction non è così. Inoltre ho scelto il polar perché non volevo fare passi indietro rispetto alla realtà che avevo vissuto. Ancora oggi i ricordi che più mi hanno impressionata e colpita, sono materia fondamentale dei miei romanzi.


domenica 29 novembre 2009

Scelte di lettura: chi e dove?


Li leggo quasi tutti, rubriche e inserti, concentrati soprattutto nel fine settimana: Tuttolibri La Stampa, La Repubblica Libri ora diventato R2 Cult, Corriere della Sera, Domenicale del Sole 24 Ore. Poi i periodici: D di Repubblica, Io Donna, Leggere:tutti, Bookshop (più settoriale e selettivo). Pagine o intere riviste dedicate alle recensioni o alle segnalazioni delle novità editoriali. Che stanno diventando sempre più noiose. Quello che mi tiene più legata al loro acquisto è il piacere di continuare a trovarmi tra le mani qualcosa di cartaceo, più che la ricchezza dei contenuti. Nulla o quasi le differenzia dal tavolo delle novità di qualsiasi libreria: stessi titoli, stesse considerazioni. Mi piace PulpLibri, bimestrale con qualche lunga intervista e molte recensioni, pochi titoli da primi posti delle classifiche e parecchi piccoli editori. Tra gli altri invece è piattume. Chi aspira ad andare controcorrente, cercando di criticare gli autori o i titoli che imperano nelle vendite, lo fa quasi sempre con spirito polemico e non costruttivo, se non addirittura con inutile maleducazione.
Quindi, dove e come curiosare per un consiglio? A parte mettere il naso tra gli scaffali delle librerie e ascoltare i consigli degli amici, a parte cose come questa o questa, devo dire che la rete sta diventando sempre più stimolante. Non mi riferisco tanto ai blog o siti più noti, che spesso si prestano a insopportabili e logorroiche polemiche. Sto diventando sempre più insofferente nei confronti dell’inutilità e del superfluo, e quindi non fanno per me. Ci sono invece indirizzi meno noti, ma molto più indipendenti, che tengo d’occhio con piacere. Per esempio Noi del ghetto dei lettori con il suo grande seguito, Angolo Nero o Thriller Café per la narrativa di genere, Erotismo in lettere quando parla di libri, Letteratitudine con i dibattiti Gruppodilettura, 52 libri più virato sui classici. Ogni tanto do un’occhiata a Italica e Rai Libro. Altri ancora, dai quali mi è capitato di passare, non riesco a leggerli perché sono disordinati o scialbi. Però gironzolo e guardo di cosa parlano.
Poi c’è la grande risorsa aNobii, fatta dai lettori con giudizi, commenti suggerimenti. Anobium punctatum è il tarlo della carta, che divora i libri e se ne nutre. Questo mi diverte molto: una volta vinta la remora di entrare nelle librerie a caso, che un po’ lascia il senso di andare a curiosare in casa d’altri, diventa un vero piacere. Su questi scaffali virtuali si trovano titoli mai sentiti, le affinità e diversità portano da una libreria all’altra permettendo di esplorare il proprio interesse del momento, o di sentire il polso di qualcosa che ci attira. Di capire se chi ha trovato un libro bello ha gusti simili ai nostri, e quindi condivisibili. Oppure fare domande a lettori che sono quasi sempre sconosciuti, nascosti dietro un nick che gli permette di esprimere anche tutta la disapprovazione o ribellione verso un autore, un romanzo, un saggio. Perché qui, salvo poche e trascurabili eccezioni, ci sono giudizi privi di secondi fini. Ci sono le scoperte e i titoli trascurati dalla cultura commercializzata, dagli accordi tra uffici stampa e redazioni dei giornali, dalle strumentalizzazioni dei primi letterari.
Da pochi giorni è uscito il libro di aNobii: Il tarlo della lettura (Rizzoli, 493 pagg., 18 euro): 100 libri (anzi, 200 con i “bonus track”, ulteriori scelte nelle librerie degli aNobiani) nelle recensioni dei lettori in quattro anni di vita del social network, che oggi conta oltre quattordici milioni di libri schedati, letti, recensiti, criticati ed esaltati. Alcune sono spassosissime e fulminanti, le mie preferite. Da tenere, consultare, leggiucchiare. E da mettere sulla libreria di aNobii.


sabato 28 novembre 2009

Lucia Pescador, Ambulanti e pellegrini




Lucia Pescador, Ambulanti e pellegrini
via per Alzate 9, Cantù dal 14 novembre 2009 al 30 gennaio 2010


venerdì 27 novembre 2009

Christian Lehmann, Il seme della colpa

Succede tutto in quattro giorni. Il tempo di un'autopsia, di un esame tossicologico. Un tempo sufficiente a segnare un'esistenza, a consumare un tradimento. A rendersi conto di essere arrivati al capolinea. Christian Lehmann, medico francese che si divide con la scrittura, in Il seme della colpa (Meridiano Zero, 158 pagg., 13.50 euro) parte da un'accusa di eutanasia che porta in carcere Thierry Salvaing, medico condotto dalla professione onesta. Il grande tema rimane presto sullo sfondo, perché questo scorrevole romanzo racconta altro. Tratteggia lo scontro all'interno della casta dei medici, tema trasversale e mai abbastanza indagato, così come la mercificazione della professione sanitaria. Mostra l'amarezza di un uomo di successo nel dover prendere atto di essere arrivati alla fine di una parentesi. Il tentativo, forse inconsapevole, di cavalcare una buona causa per rilanciare se stessi. La pietà e i suoi limiti. L'ottima traduzione di Giovanni Zucca rispetta l'equilibrio della scrittura, e dei suoi tempi. Le pagine scorrono non tanto alla ricerca di un finale, ma della soluzione dei conflitti dei protagonisti. Il passo dei francesi nel noir si distingue, si alimenta di atmosfere che scivolano sotto la pelle, che non hanno bisogno di essere descritte, ma che sono lì, a disegnare lo sfondo.
Un buon libro, tempo ben speso.


mercoledì 25 novembre 2009

Luca Ciarabelli, Il paese dei Pescidoro

I libri di Luca Ciarabelli sono sulla panchina triangolare di Corrado Levi

Dopo poche pagine ti ha già colpito la scrittura. Un racconto fluido in cui i dialoghi sono colti prima di diventare parola, quando ancora sono pensieri nella mente dei protagonisti. Uno stile che ti trascina dentro la storia, che ti avvicina ai personaggi e ti obbliga a prendere il loro ritmo, prima di iniziare ad ascoltare cosa vogliono raccontarti. Luca Ciarabelli ha esordito lo scorso anno con Il bambino che fumava le prugne (Il Maestrale, 230 pagg., 15 euro), con un protagonista, il tenente Bonarroti, nel quale si trova molta parte dei percorsi di vita dello stesso Ciarabelli, umbro di origine trapiantato nel Ravennate. L'omicidio di Asmodeo Baldini, archeologo dilettante trovato ai piedi di una impalcatura nella chiesa di Sant'Apollinare in Classe, obbliga Bonarroti a uscire bruscamente dal suo torpore. Perché Baldini, prima di essere ucciso, stava distruggendo a martellate il mosaico di Teodorico, ma anche perché ad avvelenarlo è stato uno strano miscuglio tossico estratto dalle prugne. Pochi giorni fa è uscito il secondo romanzo di Ciarabelli, Il paese dei Pescidoro (Il Maestrale, 190 pagg., 16 euro): lo stile si ripropone, ma il contesto cambia radicalmente, così come il genere. Villatiferno, paese immaginario del Centro Italia, è chiuso nella ripetitività delle sue origini e tradizioni: solo Cornelio Persico, tornato dal Sudamerica con un figlio a carico, saprà portare momenti di assurdità e stravaganza, con il suo desiderio di realizzare la trasposizione drammatica di Via col vento. Basta questo per renderlo un soggetto da temere, un potenziale destabilizzatore silenzioso, da internare in un "albergo" che di fatto è un manicomio. Con questi toni da avventura, Ciarabelli racconta una storia di libertà e autodeterminazione.

Sei partito con un romanzo che poteva quasi definirsi un giallo, ma ora hai cambiato scenario. Il genere quindi per te non è una scelta, ma una conseguenza?
Assolutamente sì: ho sempre creduto che uno scrittore possa scrivere di tutto purchè ne scriva bene.

La tua scrittura è molto particolare, con una ricercatezza di suoni e uno stile per il quale non saprei trovare paragoni. Tu saresti in grado di citarmi qualche tuo punto di riferimento? E da quale commistione nasce questo ritmo?
Il primo su tutti è Gabriel Garcia Marquez, inarrivabile. Poi potrei citarti Paul Auster. Ecco, ciò che cerco di fare è coniugare il mio amore per l'aggettivazione, che mi viene da Marquez, con la scorrevolezza di un elegante e poetico cantastorie come Auster. Il risultato è che mi allontano da entrambi, e va bene, poichè spero possa restare soltanto Ciarabelli.

Da dove arriva l’idea di Villatiferno?
E' la trasposizione immaginaria del paesino dove son nato, Città di Castello, in provincia di Perugia, luogo natio di Monica Bellucci e del grande artista concettuale Burri. A parte ciò, un luogo delizioso da vedere e terribile da vivere. Palcoscenico ideale per la mia storia.


domenica 22 novembre 2009

Alessandro Baricco, Emmaus

Un momento di formazione, l'attimo della vita in cui si sceglie che strada prendere, cosa essere e quali modelli seguire. Quattro adolescenti. I desideri che si fanno avanti, le famiglie, le paure, il sesso, la religione e l'espiazione, la voglia di capire. L'incapacità di salvarsi. Il voler guardar solo avanti, senza sapere cosa ci trasciniamo dal passato: quali condizionamenti, limiti, timori. In Emmaus (Feltrinelli, 139 pagg., 13 euro), Alessandro Baricco parla di questo, e di molto altro. Quello che non c'è in queste pagine, arriva attraverso le suggestioni, gli spunti su cui riflettere, confrontarsi, immaginare.
"Ci disarma, infatti, l'inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri genitori, solo affidato alla nostra cura. Come se ci avessero incaricato, in un momento di stanchezza, di tenere un attimo quell'epilogo per loro prezioso".
L'eredità di ciò che ci rimane inevitabilmente attaccato dentro le mura di casa, senza scegliere e senza pensare. Senza ragionare sulle sue trasformazioni.
"Così, senza saperlo, ereditiamo l'incapacità verso la tragedia, e la predestinazione verso la forma minore del dramma: perché nelle nostre case non si accetta la realtà del male, e questo rinvia all'infinito qualsiasi sviluppo tragico innescando l'onda lunga di un dramma misurato e permanente - la palude in cui siamo cresciuti. E' un habitat assurdo, fatto di dolore represso e quotidiane censure".
E infine il male dispensato come deterrente, il suo esistere sparpagliato forzatamente per poterlo evocare all'occorrenza. Una prassi educativa, una calamita innescata nel momento di maggiore fragilità esistenziale. Ingrediente acquisito e troppo sottovalutato di esistenze che stanno prendendo le misure con la vita che le aspetta.
"Nessuno di noi ha quella sensibilità per il male - una specie di morbosa attrazione, atterrita - ma in quanto atterrita sempre più morbosa, inevitabile - come nessuno di noi ha la stessa vocazione del Santo per la bontà, il sacrificio, la mitezza - che di quel terrore sono la conseguenza. Forse non ci sarebbe bisogno di scomodare il demonio, ma nel nostro mondo ogni santità è strettamente intrecciata a un'indicibile consuetudine col maligno... Così si parla di demoni, senza la prudenza che invece si dovrebbe avere, nel parlare di demoni. E al cospetto di anime chiare come le nostre - di ragazzi. Non hanno pietà alcuna, in questo, i preti".
E' da cercare in spunti come questi, a mio parere, lo spessore di questo romanzo concentrato in poche pagine. E in una scrittura alta, assolutamente alta, che segna la distanza incolmabile con la maggior parte delle pagine racchiuse dalle decine di copertine che mi circondano.