venerdì 1 maggio 2009

La natura senza mani

Lo spunto arriva dal filosofo greco Plotino, che nelle Enneadi afferma che l’unico vero discrimine tra la creazione naturale e quella artistica è che la natura crea senza mani. Partendo da questa affermazione, i quindici artisti della collettiva La natura senza mani, hanno disseminato tra Villa Greppi e il parco botanico altrettante opere scultoree ed installazioni le cui forme assecondano, accompagnano o completano la naturale fisionomia dell’ambiente. Il risultato merita di essere visto, seguendo un percorso che porta anche negli angoli meno accessibili e conosciuti del parco. La mostra rimane allestita fino al 25 maggio, qui tutte le informazioni per visitarla.



Davanti alle scuderie, la scultura di Severino Trinca (Amanti, bronzo), scopre la struttura filiforme di due corpi nell’atto di stringersi, come un sinuoso tronco d’albero. All’interno del granaio si incrociano e interagiscono le due installazioni di Alessandro Di Pietro (Reciproco, collage e inchiostro calligrafico su tela, lana e proiezione di diapositiva) e Valerio Gaeti (Natura dormiente, legno, midollino, carta, cenere e pigmenti). Appena usciti si staglia l’installazione Riverberi di Valdi Spagnulo (acciaio e plexiglas), che ricrea un piccolo bosco artificiale, visitabile come il resto del parco, con venti moduli in acciaio. Appena sotto, nelle grotte sottostanti il granaio, hanno trovato spazio tre installazioni. Elena Modorati (Delle figure e degli sfondi - 5 settembre 1774) parte dal ritrovamento in un mercatino di una coppia di antichi raccoglitori in ferro per i cartellini d’ingresso alla fabbrica, che diventano calendari che mantengono in vita un insieme di gesti di misurazione, conteggio e di scrittura del mondo. Il rapporto organico-inorganico prende forma nell’opera di Giuseppe Vigliotti (Aprile è il mese più crudele, macchine da scrivere, legno e materiali organici), che segna la fine delle macchine da scrivere come strumento di lavoro manuale, ma forse anche della scrittura lenta, ricercata e celebrata. Un concetto in qualche modo legato all’installazione successiva, L’Aleph di Maria Cristina Galli, dove un archivio postale circondato da oggetti quotidiani come fogli do carta, libri, una poltrona in legno, riportano all’attrazione per la parola scritta. Poco più avanti, nell’ultima grotta, Diego Cinquegrana con D.C./M.G._distances, parte dal centro della volta con un mosaico in vetro che riporta a dimensione umana la volta celeste. Salendo verso la villa ci si imbatte in Untitled (After Charles Darwin) di Riccardo Pavanelli: tre “bacini di raccolta”, realizzati in cemento, ferro, acqua e bitume, modellati dall’interazione corrosiva dei materiali con gli agenti atmosferici.


Monumentale, suggestiva, scenografica: è l’opera di Walter Francone, Nel giardino delle idee campate in aria. Dodici elementi in ferro ossidato di 4.40 metri di altezza, intorno ai quali si aggrappano una trentina di sfere di diverso diametro. Pochi metri la separano dall’installazione di Arnaldo Sanna, 392/7 (stampa digitale su alluminio, acciaio e legno): tre pannelli di legno che coprono temporaneamente le porte della Villa, un elemento pre-esistente su cui si arrampicano piccole sculture, il cuore con i suoi movimenti legato da una linfa di metallo che disegna percorsi statici. La freddezza inorganica e geometrica di una delle strutture cubiche fluorescenti di Yari Miele, YM 0409 (fosforo su legno), si inserisce nella morbidezza della chioma di una albero. La textile art di Elena Redaelli (Mutamento continuo, carta, ferro e fili di seta), si prende lo spazio tra i carpini sul retro della villa: le tre strutture centrali, come grandi ali di farfalle, sono circondate da piccole strutture di forma ellittica e materiali variabili, come bozzoli di crisalide. Alberto Gianfreda (Infinite variabili, legno e ferro), segue le mosse di frammenti di legno spinti dalla forza curva di fasce metalliche, dove la forma concentrica e in continua espansione, segue l’andamento curvo della lieve pendenza su cui è installata. Infine Valerio Anceschi (Fiore corallo, ferro saldato), sceglie la mimetizzazione, collocando la sua scultura formata da sottili fili d’acciaio nell’incavo dei rami del centenario cedro del Libano che vigila l’entrata del parco.

4 commenti:

Kiara ha detto...

L'ho già vista, il giorno dell'inaugurazione, è davvero bella

Ste ha detto...

brava pioppina che ci delizi.....

elisabettabucciarelli ha detto...

non conosco nessuno di questi creatori di forme e significati, ma mi sembrano molto bravi!
liz

Schello ha detto...

Natura & arte..sempre affermato che ciò che l'uomo può fare viene da quello che lo circonda