domenica 10 gennaio 2010

Marco Vichi e il commissario Bordelli

Scultura di Valerio Gaeti

Il primo romanzo della serie, Il commissario Bordelli, ha ormai raggiunto il milione e 200mila copie nelle diverse edizioni andate in stampa in questi anni. Fiorentino, investigatore molto cerebrale e scrutatore dei caratteri di chi ronza attorno a una indagine, privo di ogni mezzo scientifico come lo era la polizia degli anni Sessanta, ora Bordelli con Morte a Firenze (Guanda, 344 pagg, 17 euro) è arrivato al suo quarto delitto da risolvere. Una storia fortemente noir negli umori, con un bambino scomparso durante l'alluvione del 1966. Tuttavia il poliziesco rappresenta solo uno dei filoni narrativi di Marco Vichi, quello che a dicembre gli ha fatto vincere il Premio Scerbanenco 2009 al Courmayeur Noir in Festival, che elegge il miglior romanzo poliziesco dell'anno. Perché dollari?, Il brigante, Nero di luna, Donne donne, L'inquilino (tutti Guanda), Per nessun motivo (Rizzoli) e Buio d'amore (Barbes) sono scritture che nulla hanno a che vedere con il genere. Con Bloody Mary (Edizione Ambiente, collana Verdenero), assieme a Leonardo Gori ha raccontato una storia di pesante sfruttamento di manodopera nei campi di raccolta di pomodori della Puglia, mentre con Emiliano Gucci ha pubblicato le due storie contrapposte di Firenze nera (Aliberti).

Che Bordelli troviamo in quest’ultima indagine?
Un Bordelli più amaro e cupo che mai, ma ne ha tutti i motivi. La storia è assai cattiva e i personaggi con cui si trova ad avere a che fare sono torbidi e marci fino al midollo. Anche se in certe pagine si sorride, è certamente un romanzo molto nero…

Ti ricordi il primo istante in cui hai pensato a lui, lo hai creato e gli hai scelto il nome?
Me lo ricordo molto bene. Era un pomeriggio di marzo del 2005. Dopo più di dieci anni che scrivevo in molte “direzioni” diverse, senza alcun risultato editoriale, per la prima volta pensai di misurarmi con il poliziesco, senza un vero motivo. Volevo capire come me la sarei cavata e pensai di farlo con una delle figure più logorate della letteratura di genere: un commissario. Cominciai a scrivere senza sapere chi fosse questo sconosciuto Bordelli, senza sapere chi sarebbe stato ucciso, e senza sapere nulla del colpevole e del suo movente. Dopo qualche pagina ho visto il commissario Bordelli salire sopra un Maggiolino, e ho capito che mi trovavo negli anni Sessanta. La cosa mi è piaciuta, si trattava di ricostruire un’epoca con i suoi ritmi e la sua mentalità. E in più mi ha dato modo di trasferire i racconti di guerra di mio padre nella memoria del commissario.

Nei tuoi tanti modi di affrontare la scrittura, comprese le inchieste giornalistiche, cosa ti ha lasciato un segno più profondo o particolare?
Non riuscirei a fare una classifica, ogni romanzo mi porta in un mondo diverso e mi costringe a scoprire nuovi percorsi. È per questo che mi piace scrivere, per le sorprese che incontro ogni volta.


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